La “Roba minima” di Paolo Rossi tra incontri e segreti d’attore

L’artista monfalconese domani e venerdì di scena al Miela: «L’arte affabulatoria l’ho imparata dalla mia famiglia. Strehler e Jannacci sono i miei maestri»

TRIESTE Essere abituato da decenni a grandi audience e palcoscenici prestigiosi e tornare a fare stand-up comedy in piccoli jazz club a tu per tu col pubblico. Ha voglia di rimettersi in gioco, Paolo Rossi, che non smentisce la fama di aficionado della nostra città scegliendo ancora una volta Trieste per il lancio del nuovo spettacolo “Roba minima. Incontro con persone più o meno straordinarie”. Uno spettacolo mai uguale a se stesso, che coinvolge il pubblico e cambia ogni sera e ben figura nel cartellone della “Prosa Curiosa” On/Off al Miela, dove andrà in scena domani e venerdì alle 20.30. Un viaggio di affabulazione teatrale tra palcoscenico e vita reale, dai segreti del lavoro d'attore agli incontri umani e artistici che han segnato gli esordi del comico monfalconese. E i maestri che lo hanno aiutato e guidato sono nomi da far stendere chiunque, da Dario Fo a Enzo Jannacci, da Giorgio Gaber a Carlo Cecchi.

«Anche Strehler – aggiunge Rossi -: quattro anni con lui non son mica pochi. E poi, non perché vengo lì a Trieste, ma quest'arte affabulatoria sicuramente l'ho imparata anche dai miei parenti e dalla mia famiglia che vive da quelle parti; un modo di raccontare che deriva anche da loro, dai nonni, dagli zii. Come il gusto per l'improvvisazione: quando ero piccolo veniva una compagnia di commedianti e mettevano una tenda in “campagnetta”, un grande prato in viale San Marco. Io per l'età potevo vedere solo le prove di pomeriggio ed ero entusiasta: un'unica sera ho visto lo spettacolo finito e mi sono annoiato».

«Se “Roba minima” andrà in tv? Uso una metafora calcistica: siamo in pieno calcio mercato. Sicuramente quello che vedrete farà parte dei miei prossimi lavori. Avrei potuto chiamarla, visto che è presente in buona parte della scaletta, che comunque varierà nelle due sere, una parte dedicata a Enzo, tanto che si potrebbe chiamare “La Jannacceide", come nelle serate di teatro greco quando si chiudeva la tragedia con un poema comico epico. Non è una commemorazione né un triste e malinconico ricordo, perché lui mi ha lasciato delle cose, quando se n'è andato, che sono andate avanti: non mi riferisco solo al palcoscenico ma alla vita in generale. Molta parte del mio metodo lo devo a lui: si recita nella vita e si è veri sul palco, cosa che apre a situazioni molto divertenti. Enzo sarebbe piaciuto a Marina Abramović: pronto all'ipergesto in qualsiasi momento. Io mi ci butto perché ho imparato da lui come ho fatto ieri alla tenda delle primarie del Pd mentre ero al super a fare la spesa. Seguendo le sue regole mi son buttato a capofitto creando una situazione teatrale, un miniatto unico».

«Nel mio metodo – sottolinea l'attore - è molto importante, più che il risultato, il processo creativo. Quando tu assisti a spettacoli di teatro all'improvviso, perché di questo si tratta, il brivido che hai le prime sere, diciamo del concepimento, è diverso, in alcuni momenti anche superiore a quando il risultato è ben confezionato, quando hai già una macchina rodata: perché sei senza rete. Paradossalmente è più imperfetto ma più vivo. Sono tornato a girare in piccoli locali: ti rimette in forma anche perché lì, come nel rap, ci sono le gare. E finora direi che è andata bene: sono in splendida forma». —


 

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