La valigia dell’ultimo viaggio di Saba in un racconto inedito con mistero
Pubblichiamo di seguito il racconto inedito del critico d’arte Antonio Mercadante, scomparso un anno fa, intitolato “La valigia di Saba”. La figura del poeta vista attraverso un oggetto che gli è appartenuto.
antonio mercadante
Un poliedro di cuoio biondo. Ottanta per quaranta per trenta centimetri. Maniglia solida, ganci d’ottone, cinghia larga e passanti, angoli esterni ribattuti e cuciti. Dentro, in alto, una fodera a strisce bianche e nere s’aggriccia sugli elastici di due tasche a toppa; sotto, il vano per riporre indumenti è attraversato da strisce di cuoio leggero, fibbie e asole per serrarle.
Quali strade ha percorso la valigia di Umberto Saba prima di raggiungermi a Roma? È la stessa che lo seguì girovagare risentito per l’Italia? Il Poeta onesto, costretto a buscarsi il pane tra le città di editori e giornali, e a fare soste sempre più lunghe per curare nevrosi inconfortabili.
Verso l’ultima di queste tappe, a Gorizia, la valigia ora mia l’ha accompagnato. Forse.
Biancheria, le foto di Lina e di Linuccia con Carlo Levi, carte da visita, manoscritti, libri.
Se Nino Spagnoli l’avesse vista, la valigia, o immaginata, avrebbe potuto aggiungerla al bronzo del Poeta che la municipalità triestina gli ha commissionato nel 2004. Col bastone, per le vie di Trieste, Saba sembra tranquillo, nel cappotto al vento. Oltre il bastone, la valigia; come lasciando «l’antro oscuro» solo costretto da una partenza all’aurora, di buon passo.
Il bronzo è semplice, scarno, nel temperamento del mite scultore triestino. E a spasso per Trieste di sua mano sono in tre: Saba, Svevo, Joyce, secondo la voga di inizio millennio che aborre i piedistalli e fa scendere da cavallo gli eroi. A terra, per strada, mischiati al passeggio urbano, cose tra cose, persone tra persone. Il contrappasso li rende amabili almeno in effige, disponibili ad ogni abbraccio per la foto ricordo, nella grande città. Altrove, con altrettanta mesta ironia, bronzi solitari ad altezza d’uomo (una voga, s’è detto) raccolgono i lazzi senza repliche dei paesani. Sciascia cammina svelto a Racalmuto, appena fuori dal bar; Germi è seduto su una panchina di Sciacca, espiando per sempre l’aver sedotto e abbandonato proprio lì Stefania Sandrelli ragazzina, e così via.
L‘Italia di cui parla la valigia di Saba non c’è più. Il’fatto morale’, scrive Mario Mafai, degli uomini che l‘hanno prodotta è archeologia. Oggetti costruiti per durare, acquistati una volta per tutte, fuori misura di ogni low cost. Abilità di maestranze operose, vendute al prezzo del pane quotidiano. Ed è già un lusso questa valigia di cuoio spesso, se confrontata a quelle di cartone pressato, bagaglio per gli strati più bassi. Non i bauli del Vate, numerati progressivamente secondo la capienza e con le iniziali in foglia d’oro, ma la valigia del Poeta commerciante che amava i libri antichi «come i ruffiani amano le belle donne: per venderle», a garanzia pur minima di un censo quantomeno spendibile.
Negli accumuli di libreria, nei magazzini del retro negozio cui rari privilegiati ebbero accesso, fu scovata la mia valigia, dall’occhio prensile di un cliente affezionato a caccia di edizioni rare; volumi acquisiti da famiglie triestine, goriziane, viennesi, berlinesi, che fecero per un intero quarantennio della Libreria Antiquaria Umberto Saba la fonte più golosa per gli amatori, i bibliofili, i bibliomani, e gli studiosi della Mitteleuropa.
Ho un patto capriccioso, stretto con l’amico che trent’anni fa mi ha donato la valigia di Saba: l’obbligo di tacerne il nome, dunque ne taccio. Ma la valigia era lì, egli solo la vide, la capì, e ne chiese notizia a Carletto Cerne, rimasto da solo a condurre bottega.
– Sì, Professore, viene da casa Saba, rientrava da Gorizia, dall’ultimo viaggio. L’ho riempita dei libri e delle carte che, dopo, ebbi a portare qui, e qui è rimasta. La prenda, gliela do volentieri, e sa cosa faccio? la userò per mandarle in albergo i volumi appena acquistati. Sapesse chi gliel’ha contesi, Spadolini in persona, per portarseli a Firenze, ma l’avevo promessi a Lei e non ho ceduto. Arrivano da una biblioteca viennese, freschi freschi, ma conservano ancora profumo di Weimar fra le pagine.
Trieste, Gorizia, Vienna, Firenze, Roma. Umberto Saba, Lina, Linuccia, Carlo Levi, Carlo Cerne, Spadolini… È tutto vero? Forse no. Ma si racconta qui della valigia di un poeta: la si apre, volano via chiari di luna, desideri, sogni, musica, finzioni. —
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