La vecchiaia non esiste oggi tutti viviamo “Il tempo senza età”

di Pietro Spirito
La vecchiaia non esiste, e anzi «tutti muoiono giovani». Complici una serie di fattori sui cui sociologi, psicologi, neuroscienziati, scrittori e molti altri si interrogano sempre di più, non c’è dubbio che viviamo un’epoca dove le differenze generazionali sembrano sfumare fino a confondersi. E se questo non basta - per fortuna - a evitare conflitti generazionali, di sicuro le “età della vita” hanno oggi contorni meno netti e, a volte, non ne hanno affatto.
Ormai nessuno più si stupisce se la musica rock - genere che un tempo si definiva giovanile - sia entrata trionfalmente nella terza età al seguito di Bob Dylan, Leonard Cohen, Ian Anderson e altri, trasformando in classici amati anche dai teen-ager di oggi brani che i settantenni continuano ad ascoltare da quand’erano ragazzi. E nessuno trova surreale, per non dire ridicolo, che Sylvester Stallone alla soglia dei settant’anni torni a dirigere e interpretare un action movie adrenalinico come “I Mercenari 3”, con altri ex giovani compagni d’azione come Arnold Schwarzenegger (classe 1947) e Harrison Ford (1942). Del resto basta guardarsi in giro per vedere nonni che si vestono come i nipoti, nipoti agghindati come i bisnonni, mamme che sembrano sorelle della figlia, figli che bazzicano gli stessi social dei padri, mentre chimica e benessere dilatano i tempi dell’invecchiamento senza però annullare disuguaglianze e discrepanze quando si toccano temi quali il lavoro, la sicurezza economica, le prospettive professionali ecc.
Insomma le mappe sociali mutano velocemente. Certo, è vero che le anzianità arzille e produttive non sono appannaggio di quest’epoca: nella battaglia di Waterloo del 18 giugno 1815, tanto per fare un esempio, il generale prussiano von Blücher alla bella età di 73 anni diede la spallata definitiva a Napoleone guidando a spron battuto la carica dei suoi giovani soldati a cavallo che faticavano a stargli dietro («seguitemi, ragazzi miei»). Ma è anche vero che oggi il ruolo dei padri non è lo stesso di appena qualche decennio fa, che i nonni spesso sono ancora nel pieno dell’attività produttiva (e qualche volta riproduttiva) quando i nipoti cominciano a invecchiare, e che i modelli familiari, educativi, formativi rimettono in discussione il ruolo e la figura dell’anziano.
Ecco perché Marc Augé si è deciso a una breve escursione speculativa intorno a “Il tempo senza età” (pagg. 104, euro 11,00, Raffaello Cortina Editore), cercando di dimostrare che «la vecchiaia non esiste», come spiega il sottotitolo. L’etnologo e antropologo francese, classe 1935, teorico del “non-luogo” e grande indagatore della modernità, in quest’agile libretto che a rigore non è un saggio e nemmeno un pamphlet sull’invecchiamento, ma ha più l’aspetto di un ordinato taccuino d’appunti sul tema della terza e quarta età, parte da alcune osservazioni sui suoi gatti, che muoiono senza apparentemente portare i segni della vecchiaia: diventano più quieti e saggi, ma la loro indole rimane la stessa fino alla fine. Il gatto, spiega Augé, non è una metafora dell’uomo, ma «un simbolo di quella che potrebbe essere una relazione con il tempo» in grado di «fare astrazione della realtà».
Noi esseri umani, continua l’antropologo, «ci immergiamo nel tempo, ne assaporiamo alcuni istanti; ci proiettiamo in esso, lo reinventiamo, ci giochiamo; “prendiamo il nostro tempo” o “lo lasciamo scorrere”: è la materia prima della nostra immaginazione». Ma siccome siamo animali dotati di coscienza, sappiamo quanto il tempo sia strettamente connesso all’età, definita «la spunta minuziosa dei giorni che passano». Il che ci porta a concludere che se il tempo è «una libertà», l’età è «un vincolo»: «un vincolo che, apparentemente, il gatto non sa cosa sia».
Cosa significa, dunque, invecchiare per l’uomo contemporaneo? Augé si guarda in giro, cita libri a lui cari, osserva comportamenti e linguaggi. Poi va al cinema a vedere un vecchio film e scopre che «il cinema è il testimone inesorabile delle derive della memoria». Perché quando diciamo che un film o un libro “sono invecchiati”, «di fatto parliamo di un cambiamento tutto nostro». Non è l’opera che cambia, ma la relazione tra l’opera e noi. Quel film visto magari da bambini di cui portiamo un ricordo incisivo di emozioni, o comunque reazioni forti, rivisto dagli scalini più alti dell’età può avere effetti del tutto diversi, addirittura contrari, o può apparire una semplice sciocchezza. Un film inguardabile, un libro illeggibile.
C’è dunque una netta differenza fra tempo ed età. Vale anche nei confronti del più evidente marcatore dell’età, la decadenza fisica. Di fronte alle rughe e agli acciacchi molte persone «si sentono anzitutto vittime del loro corpo e rifiutano di ammettere che questa fragile soglia mortale in via di estinzione sia il sunto del loro essere e della loro identità». Una consapevolezza “persecutoria” - spesso combattuta a suon di botulino - che non avrebbe motivo di essere se solo si considerassero gli “altri”, quelle persone «che hanno conosciuto siffatta decadenza molto prima, addirittura da bambini». Per cui, nota Augé, «la visita di ospedali pediatrici o per adolescenti dovrebbe essere raccomandata a quegli adulti inquieti: finalmente capirebbero che qualunque cosa possa loro capitare sono comunque sfuggiti al peggio e, secondo il linguaggio morale e persecutorio che è ancora il nostro, al più ingiusto».
E la solitudine? Si dice, nota Augé, che la solitudine sia uno dei mali più crudeli dell’età avanzata: in realtà, più il tempo passa più si sciolgono, o almeno si rallentano, quei legami che ci tenevano ancorati alla riva». Ma sia quella vissuta come «imposta dalla scomparsa dei coetanei e dallo sguardo degli altri», sia quella «voluta, come per un riflesso di difesa o una forma di sfida», la solitudine non va necessariamente recepita quale «ineluttabile prezzo della vecchiaia». Perché se la solitudine è un segno dell’età, «”avere” la nostra età significa vivere, e i suoi segni sono dunque segni di vita». Persino la nostalgia e il rimpianto, sono, a ben guardare, falsi problemi, sia che si tratti della nostalgia di un passato vissuto, sia di un passato che avremmo potuto vivere. La verità è che «quello che rimpiangiamo non è mai esistito, poiché, al contrario, è la nostra proiezione presente, è la proiezione del nostro desiderio presente che gli dona esistenza».
Ecco perché, conclude Augé, la vecchiaia non esiste. E alla fine, «che ce ne si rallegri o che lo di deplori - questa constatazione ha un lato crudele - bisogna ben ammetterlo: tutti muoiono giovani».
p_spirito
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo