La vera guerra dei soldati cetnici ribelli dei Balcani

Torna in forma ampliata il saggio di Stefano Fabei che spiega i complessi avvenimenti tra il 1941 e il 1942
Stefano Fabei è un saggista che ama esplorare tra le pieghe della storia recente, portando alla luce personaggi ed episodi poco conosciuti. Lo testimoniano libri come “La legione straniera di Mussolini”, uscito nel 2008, nel quale tratta dei volontari stranieri che, inquadrati nell’esercito italiano, combatterono per il fascismo e l'Asse, e rivela come arabi e indiani passarono dallo status di prigionieri a quello di combattenti dei futuri eserciti di liberazione dei loro Paesi. Per i serbi ortodossi, schierarsi al fianco del Regio Esercito fu, dopo lo smembramento della Jugoslavia, una scelta imposta dalla necessità di difendersi dalla politica persecutoria dei croati cattolici. Ad essi, Fabei aveva dedicato due anni prima il volume “I cetnici nella seconda guerra mondiale”, che ora viene ripubblicato, aggiornato e ampliato, dalla Leg (Libreria Editrice Goriziana) con il sottotitolo “Dalla resistenza alla collaborazione con l’esercito italiano” (350 pagine, Euro 18,00. Questo libro approfondisce le motivazioni per le quali i cetnici da resistenti contro gli occupanti italiani, e tedeschi, siano diventati collaborazionisti, grazie ad una amplissima documentazione tratta dagli archivi militari italiani e jugoslavi, dalla diaristica dei protagonisti, quali i generali Mario Roatta e Ugo Cavallero, e sull’altro versante, il pope Momčilo Đujić, Dobroslav Jevđević, oltre al comandante supremo dei cetnici, Dragoljub (Draža) Mihailović, e da quanto scritto da storici e testimoni quali Teodoro Sala, Angelo Del Boca, Bruno Coceani, Giacomo Scotti, per citare soltanto alcuni nomi.


La vicenda è estramemente complessa e il passaggio da un fronte all’altro è tutt’altro che lineare. Cominciamo ricordando che cetnici è il nome degli appartenenti alle bande armate (četa significa «banda») che si erano formate nei Balcani per combattere l’impero ottomano.


Alla nascita del regno di Jugoslavia nel 1918, il movimento popolare spontaneo diventa un’istituzione para-militare che persegue l’egemonia della nazionalità serba sulle altre che formano il regno. I cetnici sono addestrati a condurre operazioni di guerriglia contro le forze d'occupazione nell'eventualità di un nuovo conflitto. È così che, dopo la capitolazione dell'esercito monarchico jugoslavo nell'aprile del 1941, il colonnello Draža Mihailović porta alcuni ufficiali fedelissimi sull'altopiano di Ravna Gora, nella Serbia occidentale, e comincia a costituire formazioni militari composte prevalentemente da volontari serbi. Quasi subito avviene la prima scissione: il gruppo capitanato da Kosta Pečanać forma i cosiddetti “cetnici legali” che si schierano con il regime filofascista di Milan Nedić che aveva formato un governo fantoccio sotto la guida tedesca, una specie di Vichy jugoslava, dopo che re Pietro II Karađorđević era andato in esilio prima in Grecia e poi a Londra.


Mihailović comincia a combattere contro gli occupatori italiani in Montenegro insieme ai partigiani comunisti guidati da Milovan Đilas. Gli italiani dominano la ribellione e l’alleanza tra cetnici e titini si spacca. Mihailović non approva la strategia di Tito di esasperare le forze di occupazione per provocare una repressione che inducesse la popolazione a schierarsi con i partigiani. Ma soprattutto ci sono ragioni ideologiche: Mihailović è monarchico, ortodosso, anticomunista e persegue il progetto di una «Grande Serbia», destinata a un ruolo egemone sull'intera penisola, mentre Tito persegue l’unità, cementata dall’ideologia comunista, di serbi, croati, sloveni, macedoni e delle altre etnie della vecchia Jugoslavia.


Tra il 1941 e il 1942 avviene il cambio di fronte: Mihailović si schiera con gli italiani per combattere i partigiani comunisti. Non è un passaggio lineare di tutti i cetnici a fianco del Regio Esercito. Il movimento è infatti diviso al suo interno, Mihailović non controlla tutte le bande cetniche e lo si capirà al processo in cui verrà condannato. Gli italiani inquadrano i cetnici nelle Milizie volontarie anticomuniste (Mvac) ma anche su questo versante sono forti le diffidenze negli alti comandi, perché si sa che l’alleanza dei cetnici è tattica, destinata a durare fino a che non arriveranno gli inglesi, che peraltro foraggiano i cetnici. Quanto ci si può fidare di Mihailović, che è ministro della guerra dal governo di re Pietro in esilio a Londra? Per le forze di occupazione italiane che operano in Croazia la situazione è estremamente confusa proprio per l’estrema disinvoltura con la quale le varie parti cambiano fronte.


L’elemento più significativo è la questione ustascia, il termine deriva dal verbo ustati: "alzarsi in piedi, insorgere, ribellarsi" e venne utilizzato dal poglavnik, Ante Pavelić, per indicare il movimento di ribellione antiserba da lui fondato nell'ottobre 1928, quando in un comizio a Zagabria proclamò la lotta aperta per l'indipendenza della Croazia.


Costretto all’esilio, Pavelic trova protezione in Italia e rientra nel suo Paese nel ’41 fondando lo stato indipendente di Croazia, in forma monarchica. La corona viene offerta ad Aimone di Savoia Aosta che però non si farà vedere nel suo regno. Gli ustascia cominciano subito a eliminare i serbi e gli ebrei. Gli italiani che occupano la Dalmazia tentano di arginare la furia croata, soprattutto nella Lika, trovandosi in una posizione imbarazzante tra i loro “protetti” ustascia, che massacrano i serbi, i quali collaborano con gli italiani in funzione anti-patigiana. Le frizioni tra il regio esercito e le autorità croate sono continue. Inoltre, come spiega bene Fabei, la situazione è ulteriormente confusa dall’ambiguità del comportamento di alcuni capi cetnici, quali Dobroslav Jevdjević e il voivoda Ilija Trifunović organizzavano con i cetnici di Bosnia la resistenza contro l’occupazione italiana, mentre trattavano con il regio esercito. Il comprensibile scetticismo degli italiani è corroborato dalle informazioni dell’ambasciatore Luca Pietromarchi (il diplomatico italiano che salverà migliaia di ebrei, rifugiati nelle zone occupate dall’Italia) il quale sottolinea l’ostilità di tutti i serbi, cetnici e comunisti, verso Roma.


E dai duri giudizi del console italiano a Mostar, Renato Giardini, che invia una relazione sulla cattura di un emissario inglese, che testimonia la stretta alleanza tra cetnici e britannici. Se aggiungiamo i contatti segreti tra i cetnici stessi e gli ustascia, la diffidenza degli ustascia nei confronti degli italiani e viceversa, i sospetti tra italiani e tedeschi che a loro volta conducono trattative segrete con le varie fazioni in lotta, titini compresi, che temono più dei tedeschi lo sbarco alleato che avrebbe impedito l’affermarsi del comunismo, si comprende quanto la situazione fosse esplosiva, arrivando al paradosso che Mihailović, che invece lo sbarco alleato lo auspica, finisce per combattere gli ustascia di Pavelic e le formazioni di Tito più di quanto non combatta le forze d'occupazione. È quello il momento in cui la Gran Bretagna smette di considerarlo un utile alleato nella lotta contro le potenze dell'Asse e punta ogni sua carta sul maresciallo Tito.


Il re lo scarica dal governo in esilio. Per i cetnici comincia un inarrestabile declino, specialmente dopo il collasso dell’Italia con la quale avevano avuto un discontinuo, ambiguo e contrastato rapporto. Alla fine della guerra Mihailovic, dopo una fuga disperata, viene catturato nel ’46 al confine con l’Austria. Viene processato e condannato alla fucilazione per alto tradimento.


Quest’opera di Fabei oltre a spiegare l’intricatissima vicenda bellica jugoslava, è utile per comprendere le vicende più recenti che hanno portato alla dissoluzione dell’ex Jugoslavia.


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