“La vita che desideri” un soldato gay dal Carso alla lotta partigiana

la recensione
Di piccole storie personali di gente qualunque che s’intrecciano con i grovigli spesso tentacolari della Storia, quella con la esse maiuscola, se ne leggono molte. Le guerre mondiali e il fascismo sono periodi che hanno ispirato autori di ogni generazione e continuano a stimolare racconti realistici e invenzioni di fantasia. Anche fumetti e graphic novel affrontano, specialmente negli ultimi anni, alcuni episodi emblematici e salienti del Novecento. Lo fa anche una storia illustrata appena uscita in libreria che viene presentata oggi alle 18 all’Antico Caffè San Marco: “La vita che desideri” (Tunué, pagg. 332, euro 29) scritta da Francesco Memo e disegnata da Barbara Borlini. Al centro del volume la vita dei soldati nelle trincee del Carso e i rapporti sociali tra ufficiali e semplici militari, i paradossi dei nazionalismi e la retorica interventista, ma anche l’immagine della mascolinità che veniva imposta un secolo fa soprattutto dal fascismo e la repressione dell’omosessualità. Protagonista del fumetto è infatti Giulio: all’inizio testimone di un delitto passionale, poi impegnato sui campi di battaglia del Carso, anni dopo in forze come cameriere in un hotel sul Lago Maggiore e infine coinvolto in attività di spionaggio con i partigiani. Gli incontri che fa, in particolare con Giorgio, personaggio affascinante quanto controverso, lo portano a vivere un’esistenza ricca di sfaccettature e colpi di scena.
Le varie fasi di questa piccola, grande epopea personale vengono rese graficamente in maniera ben scandita: virata in seppia è la parte che si svolge a Vienna nel 1914, il color senape caratterizza gli anni della guerra sul Carso, il rosa antico tinge il periodo sul Lago Maggiore nel 1935 e verde è la scelta per le azioni a Salonicco nel 1943. Tra le fonti di ispirazione degli autori, oltre a Piero Chiara, Cesare Pavese e Man Ray, anche il racconto del triestino Tullio Kezich “Il campeggio a Duttogliano” e un accenno a una storia di famiglia. «Una prima scintilla molto personale - dice Barbara Borlini - si trova nella memoria del mio nonno paterno: il fumetto non è la sua biografia ma la traiettoria della sua vita ci ha aiutato a focalizzare gli episodi del protagonista. Mentre definivamo il soggetto, sfogliavo spesso i vecchi album di foto del nonno, quello di guerra soprattutto. Da qui è originata la primissima idea del formato orizzontale con fondo nero, che ricorda proprio questi vecchi album».
Aggiunge Francesco Memo: «Con questo progetto volevamo mettere le mani nei trent’anni cruciali tra le due guerre mondiali. Un periodo tragico che qualcuno ha comparato alla guerra di Troia: qualcosa con il quale non si può non fare i conti. Sembra proprio che questo passato ormai lontano sia ancora tra noi: più lo ignoriamo più si ripresenta». Graphic novel e fumetti possono, sempre più, intercettare un pubblico più ampio e raccontare vicende anche poco conosciute. «Il fumetto - riprende Borlini - sta vivendo un momento di transizione. Da una parte si sta aprendo nuovi territori, dall’altro rischia di smarrire i suoi connotati, dimenticando la sua gloriosa tradizione. Per noi graphic novel significa coniugare la densità propria del romanzo storico con l’immediatezza del fumetto. Anche per questo abbiamo deciso di non usare mai didascalie o pensieri dei personaggi: tutta l’azione scenica deve essere il più possibile diretta e senza intermediazioni». Interviene anche Memo: «Questa scelta serve ad avvicinare il lettore alla condizione di chi viveva la storia: quello che per noi è passato, noto e definito, per loro come per i nostri personaggi era un presente incerto. Non possiamo prevedere il futuro e siamo vittime di miopia e problemi di prospettiva. Con il senno di poi è facile giudicare, ma come narratori troviamo più onesto e stimolante ricreare quell’indeterminatezza che avevano le epoche passate agli occhi di chi le ha vissute». —
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