La vita involontaria di Brianna Carafa la crisi di un’epoca in un viaggio interiore

Cliquot ripubblica un gioiello finalista allo Strega nel 1975 Per Magris una voce nella tradizione mitteleuropea

Giovanna Pastega

“Avevo bisogno di odiare quello che lasciavo, o meglio, di non lasciare nulla. Nulla d’importante almeno. E il caso volle che anche i rosai di zia Beatrice venissero distrutti in quel periodo dagli afidi verdi e insidiosi, che ne divorarono tutte le gemme”. La vita divora, la vita distrugge… ciò che sei e ciò che potevi essere. E allora solo strappando i fili che ci tengono legati a una vita “involontaria” si può sfidare la sorte e forse cominciare a vivere. È questo il senso ultimo del romanzo scritto da Brianna Carafa “La vita involontaria”, uscito per Einaudi nel 1975 e ora ripubblicato da Cliquot (pagg. 144, euro 16).

“Un libro di un’eleganza svagata e profonda – spiega Ilaria Gaspari curatrice della prefazione - che nel suo titolo, in un certo senso, ha anche incontrato un destino: l’esordio di Brianna Carafa, che nel 1975 fu nella cinquina dei finalisti al Premio Strega, è scivolato con indolenza nel buio riservato, purtroppo, a troppe scrittrici italiane del Novecento; eppure ha continuato a vivere una sua vita umbratile e segreta, che ci permette di riscoprirlo oggi come se fosse nuovo di zecca, un piccolo gioiello in uno scrigno che da decenni nessuno ha più aperto”. Sul Corriere della Sera, Claudio Magris parlò di una delle prove letterarie che ricordava «i grandi e grigi libri della migliore narrativa mitteleuropea».

Nel solco di questa tradizione, sia per le atmosfere che per quel sentimento di scacco esistenziale, di nostalgia, di perduta identità, di crisi epocale, che scende come nebbia sulle cose e sulla vita - sentimento che è stato linfa e materia dei grandi romanzi del ‘900 - “La vita involontaria” di Brianna Carafa ancora oggi stupisce per la capacità straniante di raccontare con voce nitida e dolorosa il peso della condizione umana.

“È un libro di qualità: qualità narrative perché certo ‘succede qualcosa’ e qualità di scrittura, così chiara e ferma”, aveva scritto di questo romanzo nella quarta di copertina dell’edizione del ’79 Italo Calvino.

Brianna Carafa, discendente di una nobile famiglia napoletana ma di madre polacca, cresce in un ambiente raffinato e aperto ai più importanti influssi culturali europei, popolato da figure femminili forti e soprattutto emancipate. A Roma studia architettura e psicologia, diventando psicanalista e al contempo frequentando gli ambienti intellettuali della capitale. Non è un caso infatti che il protagonista del suo romanzo, Paolo Pintus, dopo un’infanzia passata tra fantasie e fantasmi, animato dal desiderio di trovare una propria dimensione, abbandoni gli studi filosofici e, dopo mille sbandamenti, decida anche lui di “curare anime”. Carafa sa bene che la vita è un cerchio: ti stringe sempre e comunque a te stesso. E allora anche Paolo Pintus alla fine del suo viaggio ritornerà da dove era partito, la sua città natale, luogo di incubi e fantasie, come da manuale di psicanalisi.

“La scrittrice – spiega Ilaria Gaspari - con perfetta consapevolezza intesse un raffinato gioco di ambivalenze, nel raccontare fascinazioni e repulsioni, nell’esplorare, con la maschera di crudele noncuranza di un giovanotto poco sicuro di sé, gli abbandoni delle sue amanti, l’oscurità di attrazioni adolescenziali a cui si ha il terrore di dover dare un nome, verso amici vanesi e inconsistenti: come se l’Orlando di Virginia Woolf avesse prestato la sua voce androgina a raccontare i turbamenti di un adolescente inventato da Musil.”

Per tutto il romanzo la domanda è una sola: la vita può o no essere solo una sfilza casuale di eventi che determinano chi siamo in maniera del tutto involontaria e irreversibile? È proprio questa domanda che porterà il protagonista a lasciare la sua terra natia, ad azzerare tutto, affetti, ricordi, illusioni, amicizie, per avventurarsi in una città estranea che nella sua rassicurante indifferenza lo porterà alla fine a trovare “involontariamente” una risposta. Perché la vita decide sempre per noi nonostante le nostre mille rivoluzioni e “alla Gattopardo” ci fa cambiare tutto proprio perché dentro di noi nulla possa davvero cambiare… —

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