Lach Laghi, pittore-reporter che raccontò disegnando la Grande Guerra a Trieste

di Pietro Spirito «Ocio, i xe qua!», attenzione, sono qua! Era questo il grido di allarme dei triestini quando, durante la prima guerra mondiale, tra il 1915 e il 1917, gli aeroplani italiani...
Di Pietro Spirito

di Pietro Spirito

«Ocio, i xe qua!», attenzione, sono qua! Era questo il grido di allarme dei triestini quando, durante la prima guerra mondiale, tra il 1915 e il 1917, gli aeroplani italiani effettuavano incursioni bombardando Trieste. È una pagina poco nota della vita a Trieste negli anni della Grande guerra, pagina che la storiografia ufficiale e le celebrazioni patriottiche tendono a dimenticare. Eppure furono numerose le incursioni aeree sulla città, almeno trentuno in due anni, con diverse vittime fra i civili, comprese donne e bambini. Attacchi che cessarono solo con la disfatta di Caporetto, quando l’esercito italiano fu costretto ad arretrare fino al Piave. Quei bombardamenti aerei, cui la popolazione non era preparata - non c’erano né allarmi né rifugi pubblici -, furono vissuti in maniera drammatica dai triestini. E quel grido, «Ocio, i xe qua!» divenne l’unico allarme possibile quando si sentiva il rombo dei Caproni con le insegne tricolori, nonostante i giornali ripetessero appelli secondo i quali era «assolutamente necessario, nell’interesse della popolazione, di astenersi da ogni grido o esclamazione».

Invece l’espressione in dialetto divenne non solo il “refrain” del pericolo in arrivo dal cielo, ma anche il titolo di molte tavole di Lauro Lach Laghi (1891-1971), uno dei maggiori illustratori triestini del Novecento, che durante il primo conflitto mondiale realizzò una straordinaria serie di disegni a china, tempera e acquerello per raccontare la vita quotidiana nella Trieste in guerra, dallo scoppio delle ostilità con l’Italia fino all’arrivo dei bersaglieri nel 1918. Un vero e proprio diario illustrato che restituisce immagini - e storie - poco viste e conosciute di quel periodo buio vissuto dai triestini. Ora quelle tavole, assieme a molte altre opere fra disegni, bozzetti, stampe, quadri - con ritratti, nature morte, studi di nudo, paesaggi triestini, disegni di arte sacra -, riemergono da un oblio durato anni grazie alla nipote di Lauro Laghi, Raffaella Laghi, che assieme al marito Andrea Dobrigna custodisce gran parte dell’archivio del nonno, un artista forse troppo presto dimenticato.

Della sua biografia, in realtà non si sa molto. Allievo di Eugenio Scomparini (1845-1913), Lauro Laghi frequentò l’Accademia di Belle arti di Venezia dove ebbe come maestri artisti del calibro Ettore Tito (1859-1941) e il pittore e architetto Augusto Sezanne (1856-1935). Esordì come illustratore di giornali e riviste, fra cui “Marameo” (tra il 1913 e il ’14), “Scienza ed arte” (1916-19), “Il Lavoratore” (1932-33), “Vogue” di Parigi (1934-37) e, nel secondo dopoguerra, anche con “Il Piccolo”, di cui si ricordano le sovracoperte in occasione del cinquantennale dello scoppio della Grande guerra e della sua fine. Nel 1924 Laghi si trasferì con la famiglia a Parigi, dove insegnò italiano. Lì entrò in contatto con l’ambiente artistico francese ed espose in varie occasioni anche al Salon, la mostra periodica di pittura e scultura del Louvre. Come pittore, dagli esordi naturalistici passò presto al secessionismo, adeguandosi in seguito all’espressionismo di influenza tedesca fino ad accogliere i dettami del grande Impressionismo fr. ancese. Il sugello definitivo al suo stile venne dai “fauves”: Matisse, Derain, Vlaminck. Del periodo parigino l’archivio di Laghi conserva un disegno a pastello della casa dove abitava, un bozzetto con la famiglia radunata in un piccolo giardino circondato da un muretto. Tornato a Trieste nel 1937 Lauro Laghi insegnò disegno nelle scuole medie, ma soprattutto continuò a lavorare nel campo dell’illustrazione e della cartellonistica. Espose in varie gallerie, tra cui la Galleria Michelazzi, il Revoltella, più volte alla Sala comunale d’arte e collaborò anche alla grafica della rivista “Sul mare” del Lloyd Triestino.

La sua poetica è riassunta in questa frase: «Difendere con vigore il proprio individuale criterio d’interpretazione del reale». L’attenzione per il reale, addirittura per il bozzetto quotidiano, fu la sua cifra dominante: «Innamorato sempre del mestiere di narratore, impegnato più che mai nell’arte di raccontare cose semplici e vere con mezzi poveri e con trascinante veemenza», come si legge in una recensione del 1965. «La sua arte - scrisse di lui nel 1945 il critico Matteo Campitelli -, che rispecchia una indiscutibile serietà di formazione ed una sensibilità che comprende e comunica vere e dolci musicalità descrittive, merita di essere ben conosciuta». Invece Laghi per tutta la vita preferì stare al margine.

Oggi il fondo custodito dalla famiglia testimonia una produzione infaticabile, dagli esiti a volte forse incerti, ma ampia e aperta a varie soluzioni e destinazioni. E nel “corpus” delle opere - ancora da sottoporre a inventario - si segnalano in particolare i lavori eseguiti dal giovane Laghi appunto durante la Grande guerra. Sono disegni per certi versi eccezionali, non tutti inediti - alcuni sono stati esposti in anni passati, altri furono pubblicati da “Il Piccolo” - ma sconosciuti nella loro globalità, anche se di certo molte tavole sono andate perdute. Il fondo attualmente ne conserva una trentina, ma in origine dovevano essere di più.

Tra il 1915 e il 1918 il poco più che ventenne Lauro Laghi - che non avrebbe nascosto le sue simpatie filo-italiane, tanto da cambiare presto il cognome originario Lach appunto in Laghi - gira per la città disegnando la vita quotidiana come un reporter. Osserva le persone, i fatti, legge le cronache dei quotidiani, coglie momenti che nessun apparecchio fotografico può impressionare e poche memorie hanno tramandato. Per esempio i combattimenti intorno a Monfalcone, all’inizio di Caporetto, visti da Trieste, con la gente assiepata sulle rive che osserva un orizzonte infuocato. Oppure i vari casi di “pazzia” per evitare il servizio militare: un marinaio che annoda i pantaloni a un palo della luce sostenendo si tratti dell’albero di una nave, oppure il giovane soldato che, dopo essersi arrampicato sulla statua di Massimiliano, fa la barba all’arciduca. Ancora: bambini affamati per le vie della città contrabbandano sigarette; quattro ragazzini abbandonati dalla madre sulla strada perché non li può mantenere; il transito delle truppe germaniche nel ’17; la partenza del 97° Reggimento; l’imperatore Carlo d’Asburgo dubbioso prima dell’ultima offensiva del 1918; l’Omo de legno o anche il Marinaio di ferro, la statua nella quale, dove dietro pagamento di un obolo per la Patria, vi si poteva conficcare un chiodo. E poi le citate incursioni aree italiane, con la gente al riparo nei sottoscala, i soldati che sparano in aria nel tentativo di colpire gli apparecchi e, naturalmente, le vittime: fra le tavole una delle più drammatiche raffigura il bombardamento del 19 agosto 1917 durante il quale, fra gli altri, morirono dilaniate sotto gli occhi della madre le sorelline Gisella ed Eleonora Laurencich di 10 e 14 anni. Le tavole “coprono” le cronaca cittadina fino all’arrivo delle truppe italiane e del generale Petitti di Roreto. Insomma, un ampio racconto illustrato della Trieste in guerra, cui si affianca - questo sì inedito - un “book” che raccoglie decine di acquerelli su cartoncino che Laghi realizzò quando dovette prestare servizio nel 5° Reggimento della Milizia territoriale. Sono vignette ironiche, spiritose, che raccontano la vita della recluta Lauro Lach dalla visita medica fino al giuramento. E poi il rancio, la vita di caserma, i commilitoni, le esercitazioni: un inedito illustrato che dice della vita dei giovani triestini in quegli anni forse più e meglio di tanti saggi storiografici.

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