L’amico ritrovato nella matita di Manuele Fior «Così il Male si insinua nella grande bellezza»

Esce per Feltrinelli Kids la versione illustrata del celebre romanzo di Fred Uhlman, affidata all’interpretazione del vincitore di Lucca Comics 

l’intervista



Cinquant’anni fa fece il suo ingresso nelle vite dei lettori un libro all’apparenza semplice, una novella ambientata negli anni dell’ascesa del nazismo che raccontava l’amicizia tra due ragazzi, un ebreo figlio della buona borghesia e il rampollo di una famiglia che incarnava la storia e il mito della nazione germanica. Era il 1971 e quel libro non sarebbe uscito mai più dalle nostre vite.

“L’amico ritrovato” di Fred Uhlman torna in questi giorni in libreria nell’edizione illustrata da Manuele Fior (Feltrinelli Kids, pp. 112, 15 euro). Vincitore del Premio Autore dell’anno 2020 di Lucca Comics, Fior è uno dei fumettisti più poetici e internazionalmente stimati del panorama italiano. Accanto ai fumetti, a volte presta la sua mano anche all’illustrazione di capolavori della letteratura contemporanea, come è stato con “La vita davanti a sé” di Roman Gary e ora con il romanzo di Uhlman. «Devo sentire una sintonia con il testo, che per me è soprattutto una questione di scrittura. Quando lo stile di un autore suscita in me una serie di immagini che iniziano a dispiegarsi come un film, allora è un buon segno, significa che la cosa si può fare.»

Con “L’amico ritrovato” è scattata subito la sintonia?

«Sì, poi però c’è stato un grande lavoro, soprattutto sull’ambientazione. Dovevo ricostruire nel dettaglio la Stoccarda dell’epoca, perché solo così l’immagine mentale che avevo sarebbe diventata più concreta».

Conosceva già il romanzo?

«No, l’ho letto per l’occasione».

Qual è stata la sua prima impressione?

«La cosa che mi ha colpito di più è il fatto che Uhlman racconta un momento drammatico in cui la Storia si incrina, ma lo fa in controluce. In genere narrazioni di questo tipo hanno un’atmosfera lugubre, grigia, invece Uhlman mostra come il Male si insinua in modo non sospetto nel mezzo della grandissima bellezza dei paesaggi e della cultura tedesca».

Stoccarda è quasi un personaggio nel romanzo, come ha fatto a disegnarla?

«Prima di tutto ho evitato di vedere il film tratto dal libro, per evitare di polverizzare il mio immaginario. Ho fatto un lavoro di ricerca e documentazione che va dall’architettura e l’urbanistica, all’abbigliamento, il tipo di scarpe, le biciclette».

Qui emergono i suoi studi d’architettura a Venezia…

«L’architettura per me è la chiave per aprire molte porte. Ci sono ad esempio gli interni del castello dove vive Konradin dove mi sono sfogato nel disegnare gli sfarzi di questa villa da caccia, in contrasto con la cameretta di Hans».

Quanto contano i luoghi nel suo lavoro?

«Sono fondamentali. Quando possiedi dal punto di vista grafico un luogo, hai già il 50% della storia. In uno spazio che conosciamo molto bene, i personaggi sanno sempre già cosa fare. Penso che in questa mia visione mi aiuti l’aver vissuto in tanti posti diversi, in Egitto, Germania, Norvegia, Francia».

I luoghi hanno influenzato il suo stile?

«Mi hanno dato grandi aperture su mondi del fumetto diversissimi dal mio. A Berlino ero a contatto con disegnatori della Ddr che portavano con sé tradizioni di disegno sconosciute e potenti, quasi antiestetiche rispetto all’esperienza italiana. Vivere a Parigi, avere l’occasione di fare un fumetto sul Museo d’Orsay, è come essere esposti a una grande calamita che storce il tuo modo di disegnare».

Come ha disegnato i personaggi?

«Ho cercato subito di metterli nel loro contesto. La cosa più interessante per me è disegnare un personaggio come meno tratti possibili, trovare i due o tre tratti salienti che fanno capire che ti sei identificato con lui, mescolando le parole dell’autore ai miei ricordi».

“L’amico ritrovato” è un libro che circola molto nelle scuole, questo l’ha influenzata?

«No, non mi pongo mai il tema del target, spero che i miei disegni parlino a tutti. Come è accaduto a me da bambino, quando mi sono innamorato della prima edizione di Pinocchio, che aveva illustrazioni tremende, per adulti».

I colori per lei sono importanti, come li ha scelti qui?

«A guidare è stato il paesaggio, la grande importanza che Uhlman dà ai cieli, alla natura autunnale o primaverile. Quindi ho scelto dei toni che conoscevo sia dalla pittura sia dagli anni in cui ho vissuto in Germania, dove la presenza delle foreste e i grandi castelli è più imponente che in Italia. La cosa che non volevo fare era usare tinte morte, ma invece spingere sull’acceleratore dell’opulenza del paesaggio».

Ha avuto dei numi tutelari a guidarla?

«Uno degli autori che continua sempre a insegnarmi tantissimo è Winsor McCay, praticamente il primo fumettista della storia, quello che ha fatto Little Nemo. Poi sicuramente Hayao Miyazaki, soprattutto nella scelta dei colori e nella sintesi dei personaggi».

Qual è stata per lei la cosa più importante in questo lavoro?

«Ricordarmi che una tragedia del genere non è avvenuta in un mondo troppo diverso del nostro, non ne siamo immuni. Il Male si insinua in noi molto spesso in mezzo alla bellezza e alla cultura, e ce ne accorgiamo quando è troppo tardi». —

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