L’asinello Platero, dall’amore di bambina alla sua tomba

Scoperta da Vittorio Sereni con quel “Teresino” che meritò il Premio Viareggio Opera Prima nel 1981, Vivian Lamarque è oggi tra le voci più alte della nostra poesia. Un percorso raccolto anche nell’Oscar a lei dedicato, trent’anni di poesia, dal 1972 al 2002 e un talento che si è sempre riconfermato come nell’ultimo “Madre d’inverno” (Mondadori-Lo Specchio). Dotata di una sempre rinnovata freschezza, si esprime anche in altri generi, nella letteratura per l’infanzia ad esempio, sia in prosa che in versi. Ma nella poesia c’è un tratto di originalità unico che ci restituisce leggerezza, certo, ma anche una “feroce grazia”, ovvero la capacità di centrare una questione, un sentimento buono nel suo più alto stato emotivo, senza privarlo del suo aspetto negativo, quello più tagliente. Lamarque non cade mai nel gioco del sentimentalismo, il suo casomai è un doppio gioco in grado di evocare i molteplici aspetti dell’esistenza con uno stile anticonsolatorio, ma aggraziato. E così che ci racconta la vita, l’amore e la morte.

Il suo consiglio: «Ero giovanissima quando lessi la sua storia. Invece avevo più di quarant’anni quando supplicai un fidanzato di aiutarmi nella ricerca della sua tomba, per di più in agosto e nella rovente Andalusia. Alludo alla tomba dell’asinello Platero (secondo Bo l’asino più famoso del Novecento) di Juan Ramón Jiménez, titolo del librino “Platero y io” (1914). Mi aveva innamorata fin dalla prima riga: “Platero es pequeño, peludo, suave”. Premessa di Jiménez: “è un piccolo libro dove allegria e tristezza sono gemelle come le orecchie di Platero”. Come me l’asinello amava mandarini, fichi neri e uva muscatella; e se in lontananza qualcuno cantava una ninna-nanna, tac, si addormentava come un bambino. A Moguer di Platero trovammo il monumento e fuori città, “nell’orto della Piña, ai piedi del pino materno” forse ma solo forse la tomba, chi può dirlo? Non c’era scritto niente. Con la matita ci scrissi su io: Platero, con 5 punti interrogativi, poi me la fotografai». —

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