L’avventura del Mercurio, così la nave racconta la feroce battaglia di Grado

TRIESTE. In mezzo al golfo di Trieste c’è uno dei più importanti siti di archeologia navale del mondo, il giacimento che nella sabbia del fondo marino conserva i resti sparsi del brick Mercurio, la nave da guerra del regno Italico colata a picco nel corso di quella che è conosciuta come la battaglia di Grado, combattuta la nebbiosa notte fra il 21 e il 22 febbraio 1812 al largo delle coste di Grado e Lignano, fra una squadra navale italo-francese e una britannica.

Dopo una lotta a cannonate che durò ore, con centinaia di morti e feriti, vinsero gli inglesi, mandando all’aria una volta per tutte le speranze di Napoleone di strappare al nemico di sempre l’indiscussa egemonia in Adriatico. Nello scontro fra le due squadre navali il Mercurio esplose per cause non ancora chiarite, probabilmente per un’azione di sabotaggio del stesso comandante della nave, Giovanni Palicucchia, di fronte alle intenzioni dell’equipaggio di arrendersi. Dopo la fragorosa esplosione il vascello si spezzò in due e affondò in pochi minuti, adagiandosi sui fondali sabbiosi a diciotto metri di profondità. I superstiti furono solo tre su circa novanta uomini di equipaggio. Il più giovane mozzo imbarcato aveva dodici anni.

Per due secoli il relitto del Mercurio è rimasto sul fondo del mare completamente coperto da una duna di sabbia, invisibile alla vista e alla memoria. Finché, nel 2001, i pescatori della famiglia Scala tirarono con le resti su dal fondo una carronata, uno dei cannoni del Mercurio. Da quel momento, e fino al 2012, il relitto è stato oggetto di straordinarie campagne di scavo subacquee condotte dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, sotto la direzione del docente di archeologia navale Carlo Beltrame.
Nel corso degli anni gli interventi di scavo e le ricerche hanno permesso il recupero di oltre mille oggetti fra armi, dotazioni di bordo, parti delle uniformi, persino gioielli, oltre ai resti di alcuni marinai morti nell’affondamento, consegnando agli archeologi e agli storici una quantità di informazioni “di prima mano”, sia su come si viveva e combatteva in mare al tempo di Bonaparte, sia sulle dinamiche economiche e sociali legate al periodo del Regno Italico. Lo studio dei reperti ha riservato molte sorprese.

A cominciare dal fatto che le forniture navali e militari erano prevalentemente di area veneto-lombarda, e solo in minima parte di area francese. Come tessere di un grande puzzle, dai frammenti del relitto del Mercurio in fondo al mare poco alla volta è emerso un quadro per molti aspetti nuovo dell’organizzazione sociale e militare del periodo napoleonico, svelando una realtà assai più complessa e sfaccettata di quanto possano aver tramandato le fonti scritte.
Lo scorso anno il Museo Nazionale di Archeologa Navale di Caorle, che dipende dal Polo Museale del Veneto, ha inaugurato al pianterreno un’intera e ampia sezione tutta dedicata al Mercurio, con una ricca esposizione di alcuni dei materiali recuperati dal relitto, postazioni interattive che ripercorrono non solo la storia del vascello e della battaglia che vide la sua fine, ma anche le tecniche e i risultati delle campagne di scavo. C’è persino la ricostruzione in scala 1:1 della poppa della nave.
E adesso, a diciassette anni di distanza dal ritrovamento del Mercurio, Carlo Beltrame ha raccolto in volume i risultati degli studi compiuti sul relitto e sui reperti recuperati dal fondo. Il sontuoso volume “The Mercurio - Archeology of a Brig of the Regno Italico Sunk during the Battle of Grado 1812” (Brepols, pagg. 358, euro 118), redatto in inglese, è la prima pubblicazione scientifica completa che raccoglie il catalogo dei reperti - dalle armi alle dotazioni di bordo, parti di divise, monete ecc. - e i contributi di quanti hanno lavorato e collaborato alle ricerche.
Le campagne di scavo che si sono susseguite negli anni, nei mesi estivi, effettuate sotto la direzione di Beltrame dagli studenti della Ca’ Foscari e di altre università anche straniere, hanno rappresentato una rara occasione per tanti giovani di operare su un sito archeologico sommerso a modesta profondità (diciotto metri), e di approfondire gli studi specializzandosi con tesi di laurea e pubblicazioni. Il volume raccoglie così numerosi contributi: Piero Crociani, Stefania Manfio, Francesca Bertoldi, Fiorella Bestetti, Roberto Cameriere, Carlotta Sisalli, Sophia Donadel, Tomaso Luchelli, Tiziana Lanave, Neculina Condrache, Giuseppe Moretti oltre ai numerosi capitoli di pugno dello stesso Beltrame.
Il risultato è uno straordinario affresco che da un lato ricostruisce nei particolari la vita a bordo di una nave del diciannovesimo secolo, dall’altro può essere considerato un vero manuale di tecniche di restauro per materiali tanto deperibili in mare come ferro, cuoio e stoffe. Fra le ricostruzioni rese possibili dai reperti recuperati dal fondo c’è per esempio l’uso della cucina di bordo: era una stufa in ferro posizionata all'aperto, sul ponte principale, dove il cibo veniva cucinato in grandi calderoni di rame, mentre parte del cibo era conservato in quelle che possono essere considerate le prime scatolette per le conserve allora in circolazione.
Il libro di Beltrame, nota giustamente Luigi Fozzati nell’introduzione al volume, si avvia ad essere un testo fondamentale di archeologia navale sia per la ricchezza dei dati e degli studi, sia perché dimostra quanto il patrimonio dei relitti di epoca moderna e contemporanea - com’è il caso del Mercurio - abbia molto da aggiungere alle fonti storiche tradizionali e documentali.
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