Le “Acque strette” di Julien Gracq per la prima volta esce in italiano
Roma è "in virtù di tutte quelle sue nobili viscere messe all'aria, la sola città al mondo che assomigli a un'autopsia" sentenzia Julien Gracq che si diverte anche a leggere sui tombini dei marciapiedi la caricaturale marchiatura S.P.Q.R.
È il 1976 e in Francia il suo "Acque strette", viaggio verticale dentro se stesso assecondando le insenature minimaliste di un fiumiciattolo che affluisce nella Loira, è fresco d'inchiostro: l'Evre ha la meglio sul Tevere. Qui non c'entra la grandeur ma la percezione del mondo di un autore tra i più alti e misconosciuti del ’900 francese, che si coglie lasciandosi cullare dalle pagine rapinose del testo nella traduzione di Lorenzo Flabbi (L'Orma editore, pagg. 80, euro 13). Insomma Gracq inverte l'ordine di grandezza, ma senza alterigia, semplicemente perché questo è il suo sentire di uomo e di scrittore, nato libero e rimasto tale, avverso alle beghe tra letterati e ai salotti culturali dove in quegli anni gli esistenzialisti la fanno da padroni. Insegnante di storia e geografia, puntiglioso con gli studenti e allergico alla mondanità, fino alla morte, nel 2007, resta fedele al suo primo editore, José Corti; rifiuta, motivando con protervia, il premio Goncourt per il romanzo "La riva delle Sirti", ed è la prima volta che si verifica un evento del genere, mentre al termine degli anni ’80 Gallimard comincia a pubblicare le sue opere nella Bibliothèque de La Pléiade, onore assai raro per uno scrittore vivente, siappure settantenne.
In "Acque strette" Gracq sembra abbandonarsi unicamente alla propria corrente, personalissima e perciò intimista, intraprendendo una sorta di viaggio iniziatico che si trasforma in una fantasticheria associativa dove si intrecciano, alla memoria della sua infanzia, escursioni nell'immaginario in un continuo gioco di rimandi. La scampagnata sull'Evre, composta di una prosa levigata e avviluppante, è una griglia che trattiene riflessioni e controllati riferimenti letterari, da Poe a Balzac, da Valèry a Rimbaud, fino al pudico accenno a Proust al quale più di tutti Gracq sembra debitore, mentre si dipanano alla vista verdi costellazioni di castagne d'acqua, canne e foglie brune. A riva profili di castelli, mulini, ponti di pietra, Notre Dame du Marillais, chiamata popolarmente Cappella delle Paludi, tutti edifici oggetto di ispirate digressioni. Un incantevole fraseggio coagula frammenti di suoni, odori terrosi dopo un acquazzone o una folata di vento, pittura e musica. Dell'Evre, come di alcuni fiumi leggendari dell'Africa, non si possono visitare né la fonte né la foce, osserva Gracq, e così dicendo svela se stesso e fornisce al lettore gli indizi per comprendere la sua poetica. La dimensione scelta è fissata nel minuscolo angolo delle "Acque strette", per la prima volta tradotto in italiano, dove sprizza la scintilla dei ricordi e le immagini si infiammano e accendono l'una con l'altra in un ascetico inno alla letteratura.
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