Le donne e gli anni Venti nello sguardo di Oppi e del cenacolo triestino

Alla Basilica palladiana di Vicenza dipinti, disegni, oggetti e sculture celebrano l’arte del pittore che fu protagonista di quella stagione in un’atmosfera sospesa tra realtà e desiderio 

il percorso



Una mostra tutta al femminile alla Basilica palladiana di Vicenza celebra l’arte di Ubaldo Oppi e insieme gli anni Venti con splendidi dipinti, disegni, oggetti e sculture, abiti elegantissimi e preziosi gioielli, in un’atmosfera sospesa tra realtà e desiderio, sogni e passioni.

“Ritratto di donna. Il sogno degli anni Venti e lo sguardo di Ubaldo Oppi”, curata da Stefania Portinari riunisce un centinaio di opere di artisti quali Felice Casorati, Mario Sironi, Antonio Donghi, Achille Funi, Mario Cavaglieri, Guido Cadorin, Massimo Campigli, Arturo Martini, naturalmente Ubaldo Oppi, e i triestini Piero Marussig, Edgardo Sambo, Carlo Sbisà, Marcello Dudovich, Wanda Wulz.

Nato a Bologna nel 1889 e scomparso a Vicenza nel 1942, Oppi è un protagonista di quegli anni: dopo aver frequentato l’Accademia di nudo di Vienna subendo il fascino della Secessione e della pittura di Gustav Klimt, nel 1910 si era stabilito a Venezia per partire subito dopo alla volta di Parigi. Nella capitale francese conosce Modigliani, ha una relazione con la modella Fernande Olivier, che lascia Picasso per lui, è attratto dalla vivacità dei colori e delle pennellate dei Fauves e di Matisse. Tornato in Italia, continua a disegnare e dipingere anche durante la guerra che combatte come tenente degli alpini.

Negli anni Venti prende parte al movimento Novecento di Margherita Sarfatti anche se ben presto se ne allontanerà. Espone alle Biennali di Venezia, a Parigi, al Premio Carnegie di Pittsburgh, a New York. Nel 1932 si ritira a Vicenza dove si dedicherà alla pittura religiosa.

La sua vicenda artistica viene ripercorsa alla Basilica palladiana a partire dalla prima fascinazione secessionista: “Giuditta II” di Gustav Klimt apre sontuosamente il percorso espositivo con accanto le opere di coloro che dal maestro austriaco trassero ispirazione per un’arte simbolica e decorativa al tempo stesso, come Vittorio Zecchin presente con il ciclo delle Mille e una Notte, un arazzo e la coppa delle Vestali in vetro dipinto, proveniente dal Vittoriale di D'Annunzio; o il Felice Casorati de “La preghiera”.

Negli anni Dieci Oppi disegna figure di nudo ispirandosi alle forme sinuose di Matisse, alla semplificazione di Modigliani; dipinge la povera gente, madri con bambini seguendo modi espressionisti e quell’“amore infinito verso gli uomini” insegnatogli dall’esperienza della guerra.

Nel primo dopoguerra, all’inizio degli anni Venti, il suo stile recupera la classicità creando una serie di dipinti che lo porteranno ad essere tra i principali rappresentanti del Realismo Magico. “Le amiche”, il dipinto scelto a immagine della mostra, rappresentando due figure femminili che si abbracciano, una con il volto di profilo, l’altra frontale, entrambe immerse in un’atmosfera sospesa con sullo sfondo l'Amazzone di villa Mattei (copia di una statua di Fidia) apre ad una carrellata di ritratti femminili che insieme agli abiti e ai gioielli, conducono lo spettatore in un viaggio nella bellezza e nella magia di un tempo lontano.

“I tre modelli” di Edgardo Sambo, prestato dal museo Revoltella di Trieste, ritrae due figure femminili insieme ad una statua, come il dipinto di Oppi: l’autore triestino dipinge due nudi donna, luminosi, plastici, vagamente irreali, e alle loro spalle un busto che pare d’alabastro. Subito accanto “La disegnatrice” di Carlo Sbisà (sempre Revoltella) presenta una statua molto simile a quella delle due amiche di Oppi sullo sfondo, con in primo piano la figura della giovane allieva Felicita Frai, che per Sbisà si presta a far da modella anche per l’altro dipinto presente in mostra, “Il figlio del falegname”.

La moglie Adele appare quindi ritratta da Oppi sullo sfondo di una Venezia da cartolina, in una posa da dipinto cinquecentesco ma vestendo un abito in velluto, dallo scollo squadrato e polsini piumati, dello stesso azzurro del mare. I gioielli art déco indossati da lei e dalle altre protagoniste dei dipinti sono esposti vicino a loro nelle vetrine, come gli abiti Chanel che paiono appena usciti dall’atelier. Poco distanti i manifesti di Marcello Dudovich pubblicizzano le confezioni dei Grandi Magazzini Mele.

Ma le donne degli anni Venti non sono soltanto belle ed eleganti: sono anche forti, coraggiose, indipendenti, fiere al punto da divenire feline. Ecco allora comparire il ritratto fotografico di Amelia Earhart, prima aviatrice donna ad attraversare da sola l’Atlantico, e l’autoritratto “Io+gatto” di Wanda Wulz, unica donna futurista a dedicarsi alla fotografia sperimentale.

I vasi di Giò Ponti si intervallano tra le varie declinazioni dell’universo femminile osservato attraverso le tematiche dell'amicizia, del sogno, del doppio riflesso nello specchio, della nostalgia di paradisi perduti o della cruda realtà, in un continuo gioco di richiami, rimandi e suggestioni. Come quando al “Nudo tizianesco” di Oppi fa eco la “Venere addormentata” di Piero Marussig, distesa sul letto, con un cagnolino ai suoi piedi, chiaramente ispirata alla Venere di Urbino del pittore protagonista del rinascimento veneziano.

O quando, a chiudere l’esposizione, un’imbarcazione, sfidando i flutti del mare, pare alludere a nuovi mondi, di ulteriore bellezza. —



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