Le quattro ragazze Wieselberger nella Trieste di Fausta Cialente
Iniziativa apprezzabile quella della Nave di Teseo di ripubblicare, con il marchio la Tartaruga, ‘Le quattro ragazze Wieselberger’, (260 pagg., 18 euro), da anni ormai fuori catalogo. Premio Strega nel 1976, maggiore successo di Fausta Cialente, il libro è una fine rievocazione della Trieste di Svevo. Come sottolinea Melania Mazzucco che ne firma la prefazione e che accarezza da anni l’idea di dedicarle una biografia, Cialente è un’autrice ora pressochè dimenticata, ma che anche in vita non ha raggiunto la fama che avrebbe meritato. Forse perché non ha pubblicato mai al momento opportuno, oppure perché quello che scriveva non si trovava in sintonia con il suo tempo.
Nata nel 1898 a Cagliari, dove il padre, abruzzese e militare di carriera, era di guarnigione, Cialente trascorse ogni estate fino alla maggiore età nella casa triestina della famiglia della madre, Elsa, una delle quattro sorelle Wieselberger. A quel mondo, visto attraverso gli occhi di una infanzia popolata dai visi sorridenti delle zie Alba, Alice e Adele, del nonno Gustavo, di servitori e cocchieri, un mondo nel quale Trieste godeva l’apice della sua potenza mercantile, la Cialente ha dedicato pagine di dolce nostalgia. Il declino delle fortune famigliari, segnato dalla morte della più bella delle sorelle, dalla vendita della villa in strada di Fiume, dalla morte del nonno, va di pari passo con l’ascesa dei nazionalismi e raggiunge il suo apice con la guerra.
Oltre che memoir famigliare, le ‘Quattro ragazze’ è anche un’analisi sulla questione triestina condotta sotto la guida di quell‘Irredentismo adriatico’ di Angelo Vivante che quando uscì, nel 1912, venne fortemente osteggiato e che la Cialente potè leggere solo nel 1954. Ma che la colpì al punto da inserire due scritti di Vivante in apertura del suo libro.
Comunista e femminista ante litteram, che negli anni del suo soggiorno in Egitto aveva collaborato alla resistenza antifascista dalle frequenze di radio Cairo, Cialente si trovava in sintonia con Vivante, marxista convinto e fervido sostenitore dell'internazionalismo in chiave pacifista. Abilissimo nello smascherare gli espedienti della borghesia per mantenersi o conquistare il potere, utilizzando l'arma del nazionalismo, Vivante definì la borghesia triestina "opportunista, dalla doppia anima" austriacante economicamente e filo italiana culturalmente e politicamente. Nelle ‘Quattro ragazze’ queste contraddizioni emergono ed esplodono nelle frizioni tra la famiglia triestina e il padre abruzzese della Cialente, strano militare anti interventista che paventava lucidamente la follia della guerra e la rovina cui avrebbe condotto Trieste. —
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