Le ragazze di Corcos, ai limiti della decenza

Fino al 14 dicembre, a Palazzo Zabarella di Padova, cento dipinti raccontano un artista da rivalutare e i sogni della Belle Époque
Di Franca Marri

Aveva suscitato grande scandalo e "un chiasso indiavolato" il dipinto “Sogni” di Vittorio Corcos, alla sua prima apparizione alla Festa dell'Arte e dei Fiori di Firenze del 1896, dividendo il pubblico e la critica che non sapeva più se definirlo spiritualista o realista. La figlia minore dello scrittore Augusto Vecchi, altrimenti noto come Jack La Bolina, era stata ritratta seduta su una panchina, con le gambe accavallate e uno sguardo diretto verso lo spettatore, come di sfida: la sua posa, per quei tempi ai limiti della decenza, la sua espressione, sospesa tra voluttà e malinconia, ingenuità e spregiudicatezza, ne facevano un'icona perfetta del Decadentismo.

Attorno a questo dipinto ruota l'esposizione di recente inaugurata a Palazzo Zabarella di Padova intitolata “Corcos. I sogni della Belle Époque”. Curata da Ilaria Taddei, Fernando Mazzocca e Carlo Sisi, con oltre 100 dipinti, tra capolavori noti e numerose opere inedite, la rassegna ripercorre per la prima volta in maniera esauriente l'intera vicenda artistica dell'autore livornese, la cui fama è andata ingiustamente un po' appannandosi con il tempo.

Si ha così finalmente modo di apprezzare il talento versatile di Vittorio Matteo Corcos, seguendolo nel suo itinerario creativo che dal naturalismo ottocentesco di suggestione macchiaiola, lo porta alla raffinatezza del tocco pittorico di derivazione impressionista, per passare poi a un colto simbolismo di gusto letterario e giungere infine, tra fine '800 e primi anni del '900, a un personalissimo iperrealismo che pare anticipare il cosiddetto "ritorno all'ordine", comune a quasi tutta la pittura europea degli anni Venti.

Dopo aver frequentato l'Accademia di Belle Arti di Firenze e aver completato i suoi studi a Napoli, tra il 1880 e il 1886 Corcos è a Parigi dove frequenta la Maison Goupil e lo studio di Léon Bonnat, diventando, insieme a Boldini e De Nittis, un originale interprete della “pittura della vita moderna”, esponendo ai Salons, riscontrando grande successo presso diversi collezionisti.

Abile nel cogliere con tratto leggero l'atmosfera rarefatta di un paesaggio, di Livorno piuttosto che di Castiglioncello o di Parigi, sin dai primi ritratti esposti in mostra che presentano gli amici e le importanti personalità con cui venne in contatto (dal poeta Giosuè Carducci, al pittore Silvestro Lega, all'editore milanese Emilio Treves, il critico Yorick, l'Imperatore Guglielmo II di Germania), rivela le sue doti di grande ritrattista, capace di accontentare la committenza sia nell'attenzione che presta ai particolari sia nell'intensa vitalità che riesce a cogliere in ogni sguardo.

Sono infatti gli occhi dei volti dei personaggi da lui ritratti che ci accompagnano nel percorso espositivo e ci raccontano dei sentimenti contrastanti di due istitutrici che dialogano tra loro ai Campi Elisi o del carattere libero e spigliato di Piero Mascagni, a cavalcioni di una fumeuse; della forza e della fierezza di Isadora Duncan o del tormento adolescenziale di una certa Peggy Baldwin seduta su un muretto. Superbo appare quindi il ritratto della soprano Lina Cavalieri, "Venere in terra" per Gabriele D'Annunzio; stupefacente il Pierrot con il gatto che raffigura con realismo fotografico un bambino in costume nella stessa posa che assumerà il Pierrot di Picasso quasi vent'anni dopo. Assolutamente seducente Paolina Clelia Silvia Bondi che per il taglio compositivo e il fascino che emana con la sua bellezza ricorda la celebre Ragazza di Vermeer.

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