Le transizioni di Statovci dove i personaggi sono tessere di un puzzle

Esce per Sellerio il libro del giovane autore kosovaro che vive in Finlandia dai due anni di età Storia di due amici che dall’Albania emigrano in Italia, poi a Berlino, in Spagna e negli Usa 
Un’illustrazione dell’Archivio Agf
Un’illustrazione dell’Archivio Agf

TRIESTE A osservare lo stato di salute della fiction internazionale si nota una certa aria fiacca. Gli scrittori faticano a raccontare il presente, domina il genere o l’autofiction, in Italia diminuiscono le vendite dei libri di narrativa straniera. Ma forse questo stato delle cose dipende dal fatto che, per decenni, con fiction straniera abbiamo inteso quasi esclusivamente i romanzi (nord) americani. Gli Stati Uniti però stanno attraversando tempi difficili e l’ansia ha spesso la meglio sull’immaginazione, sfianca i muscoli degli scrittori. Che sia allora arrivato il momento di guardare altrove per rispondere al nostro bisogno di narrazioni straniere capaci di raccontare il presente, dandogli una forma e un senso?

Certamente, viene da rispondere dopo aver letto il romanzo di Pajtim Statovci, “Transizioni” in uscita oggi per Sellerio (pp. 272, 16 euro). Statovci è nato nel 1990 in Kosovo, quando aveva due anni si è trasferito con la famiglia in Finlandia per fuggire dalla guerra. Appartiene a una nuova generazione di scrittori che la complessità ce l’ha nel sangue. Il suo romanzo attacca frontalmente la nostra epoca: “Sono un ragazzo di ventidue anni, che a volte si comporta come immagina facciano gli uomini, potrei chiamarmi Anton o Adam o Gideon, sono francese o tedesco o greco, ma albanese mai, e cammino esattamente come mi ha insegnato mio padre, a passi larghi e cadenzati, so bene come tenere alti petto e spalle, la mascella serrata a garantire che nessuno invada il mio territorio. A volte sono una ragazza di ventidue anni, che si comporta come le pare. Amina o Anastasia, il nome non è importante, mi muovo nel modo in cui ho visto muoversi mia madre, i miei tacchi sfiorano appena il suolo e non contraddico mai gli uomini.”

Inizia così e subito abbiamo l’impressione che questa storia sia più interessante, più fresca di qualsiasi altra ci sia capitata di recente tra le mani.

Nessuno è tenuto a rimanere per sempre la stessa persona, scrive Statovci, oggi posso scegliere il mio sesso, la mia nazionalità, posso ricompormi come un nuovo puzzle. È la possibilità sconfinata che ci offre un’epoca liquida. Ma per diventare altro da quello che la nascita ci ha dato in sorte bisogna essere preparati. “Per vivere innumerevoli vite, devi essere in grado di coprire le menzogne con altre menzogne per evitare il maelstrom che si scatenerebbe se venissi scoperto.”

“Transizioni” è la storia di Agim e Bujar, ragazzini nell’Albania del dopo Hoxha, ma è anche la storia di un mondo antico fatto di leggende raccontate dai padri, un mondo dove le aquile vegliano sugli uomini e i sovrani tengono più ai cavalli che ai figli. Ed è anche la storia delle bugie che i padri dicono ai figli per conservare la dignità e l’onore, delle bugie che i figli inventeranno per suscitare interesse e magari un po’ d’amore.

Statovci racconta le estati all’inizio degli anni Novanta in una Tirana che si scopre poverissima, dove gli abitanti sono così disperati che le loro angosce colano giù dai tetti e dai muri, dove i rapimenti di bambini per il traffico d’organi cedono il posto ai traffici di ragazze da smerciare nei mercati del sesso occidentali. In questa Albania disperata, dove i genitori vanno fuori di testa o muoiono, Bujar e Agim sognano una fuga verso paesi che permettano loro di essere quello che vogliono: gay, trans, artisti, uomini di successo, lavoratori, amanti, ricchi. La povertà non è forse una ragione sufficiente per spostarsi da un paese all’altro? E che male c’è a cercare in un’altra nazione una vita e un lavoro migliori?

Sono gli anni del mercantile Vlora: la nave fantasma che attracca al porto di Bari zeppa come un formicaio. Anche i due amici provano ad attraversare l’Adriatico, con un barchino a motore e l’unica certezza di non poter vivere l’uno senza l’altro. L’Italia, meta più vicina, è però già stanca degli albanesi. Al suo arrivo Bujar capisce che “se parli una lingua troppo diversa da quella del posto, se hai l’aspetto di chi viene da troppo lontano, non sei più speciale, ma strano” ed è difficile costruirsi un futuro se vuoi tenere il tuo passato e la tua nazionalità più nascosta possibile.

È l’inizio di una serie di migrazioni. A Berlino, dove nessuno ti fa domande personali, in Spagna, negli Stati Uniti dove genere e sesso non hanno importanza perché sono tutti interessati alla razza. A New York che “uccide i sogni dei nuovi arrivati sommergendoli di infiniti problemi quotidiani, non lasciando alla gente altro tempo che per far soldi, e tutti sono comunque indebitati fino al collo.” Fino alla Finlandia. È l’inizio di una serie di transizioni: da una relazione all’altra, da un’identità all’altra. Uomo, donna, amica, trans. Ogni volta c’è uno slancio d’amore ma poi si arriva a un punto morto, i fantasmi del passato premono e tutto diventa prevedibile, deprimente, porta a una distruzione violenta e fredda. D’altra parte sulle menzogne si costruiscono storie meravigliose, ma come va a finire nella realtà vera?

Statovci ha un equilibrio magnifico nel raccontare l’epoca e l’intimità minuta, e ci conduce fino a un’ultima stringente domanda: dove vai quando non puoi più tornare a casa tua? E l’impossibile risposta è il peso delle nostre vite. —




 

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