L’esame di maturità resta un rito di passaggio per i giovani senza adulti

di Roberto Carnero
I "riti di passaggio" sono quei momenti della vita di ogni persona che, in tutte le società, segnano in maniera simbolica le fasi fondamentali di crescita e cambiamento. Questa la definizione degli antropologi, i quali lanciano l'allarme: la società di oggi - parliamo dell'Occidente industrializzato, e quindi anche del nostro Paese - appare sempre più povera di riti di passaggio.
Pensiamo a esperienze come il servizio militare (la leva obbligatoria in Italia è stata abolita alcuni anni fa), il matrimonio (sono in costante aumento, rispetto al passato, le coppie che decidono di non regolarizzare ufficialmente la convivenza) o anche l'esame di maturità (già reso più semplice rispetto a un tempo, da più parti se ne chiede l'abolizione).
Ne discutono in un libro l'antropologo Marco Aime e lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet: “La fatica di diventare grandi. La scomparsa dei riti di passaggio” (Einaudi, pagine 172, euro 12,00). In una società in cui gli adulti vivono spesso come adolescenti e gli adolescenti sembrano già adulti, come si fa a crescere? È possibile maturare in un contesto in cui non esistono più i conflitti generazionali?
«Momenti centrali nella vita delle società tradizionali, nelle quali spesso erano legati al sacro - scrivono gli autori - i riti sono più difficili da individuare nella società occidentale e in particolare nella nostra, perché molte delle performance che solitamente accompagnano il rito sono distinte e desacralizzate. Questo non significa che siano scomparsi del tutto, ma nella maggior parte dei casi la loro funzione si è attenuata e la loro collocazione sociale è mutata».
Dunque il rito esiste ancora, solo che sembra essere cambiato. Eventi celebrati in forma tradizionale e collettiva presso le società tradizionali oggi, nella nostra, vengono rappresentati in modi molto diversi, spesso snaturando i modelli arcaici, sebbene talvolta le nuove modalità siano portatrici di proposte non necessariamente meno autentiche o più negative.
Lo spiega uno degli autori del volume, Marco Aime, docente di Antropologia culturale all'Università di Genova, al quale chiediamo da dove ha origine questo indebolimento della presenza di tali passaggi forti: «Direi che ci sono due ragioni fondamentali - risponde Aime -. La prima è legata al fatto che gli adulti di oggi sono gli ex-contestatori di ieri, cioè sono coloro o i figli di coloro che hanno messo in discussione l'autoritarismo delle istituzioni: lo Stato, la Chiesa, la famiglia, la scuola ecc. È chiaro che se contesti un certo organismo, ne rifiuti anche i suoi riti: ad esempio il servizio militare, i sacramenti, gli esami ecc. C'è poi un secondo dato, di tipo per così dire congiunturale. In una situazione di crisi economica e di disoccupazione cavalcante, oggi i giovani non possono più contare su scadenze fisse: la fase dell'apprendimento, scuola e università, finisce sempre più tardi; il lavoro non c'è ecc. Da qui l'impossibilità di strutturare riti di passaggio significativi».
Tuttavia, alcuni momenti dotati di un preciso significato rimangono: se non c'è più il servizio militare obbligatorio per i maschi, c'è oggi, sia per i maschi sia per le femmine, la possibilità di un anno di servizio civile volontario; e lo stesso esame di maturità rimane a giudizio di molti un rito che non va eliminato.
Su quest'ultimo punto si sta discutendo molto in questi giorni all'interno della riflessione sulla scuola lanciata dal premier Matteo Renzi, ma di fatto, prima ancora, nell'ambito della "spending review" da un miliardo di euro chiesta dal governo al Ministero dell'Istruzione. Per questo il ministro Stefania Giannini ha avanzato l'ipotesi che la prossima maturità si svolga con commissioni tutte interne (tranne un presidente esterno), con l'intento dichiarato di risparmiare, secondo i calcoli, all'incirca 40-50 milioni di euro attraverso l'abolizione dei commissari esterni (mentre fino a quest'anno la commissione era composta per metà da professori interni e per metà da esterni).
Solo che a questo punto - affermano in molti - così come si prevede di realizzarlo, l'esame risulterebbe svuotato di ogni significato.
Anche Marco Aime difende il senso e il ruolo dell'esame di maturità: «È vero, forse questa prova non risulta utile più di tanto a misurare i livelli delle conoscenze, non serve in termini di costruzione di competenze che a quel punto del percorso formativo sono già state raggiunte oppure no. È anche vero che per giudicare gli studenti sarebbero probabilmente più competenti e facilitati gli stessi insegnanti che li hanno seguiti negli ultimi anni, rispetto a una commmisione esterna. Ma come rituale, appunto, l'esame di maturità con la commissione esterna è una fase importante, perché accomuna un gruppo di giovani portandoli a costruire un legame prezioso per superare certi ostacoli e certe difficoltà. Abilità che nella vita adulta sarà richiesta più volte, sebbene in forme diverse».
Ma una società in cui i riti di passaggio vanno scomparendo è una società più povera? «Se i giudizi di valore sono sempre in qualche misura soggettivi, mi sento però di affermare che soprattutto nella fase della formazione, e in particolar modo nell'adolescenza, i soggetti hanno bisogno di questi momenti. Si tratta di ricevere, dalla società, una conferma di quello che è il nostro ruolo in un particolare momento della vita. Diversamente, come oggi sta accadendo, si finisce per vivere in una condizione indeterminata, in cui, poniamo, non sai se sei ancora un ragazzo o se sei già un adulto».
Questa condizione di "indistinzione generazionale" è in effetti molto diffusa. «Ciò si vede in maniera evidente - nota Aime - anche sul piano estetico: a partire dalla fine degli anni Sessanta, i giovani hanno iniziato a vestire in modo diverso dagli adulti; ma oggi ci sono molti quarantenni e persino cinquantenni che non si abbigliano in maniera molto diversa rispetto agli stessi adolescenti. Questo, ovviamente, è soltanto un segnale esteriore; eppure si tratta di una realtà profonda: vale a dire, l'indeterminatezza della propria posizione all'interno della società».
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