L’impresa sopravvive agli shock se i dipendenti sono protagonisti

Negli anni più bui della guerra, in una Parma affamata, Pietro Barilla regalava pasta e coperte agli operai della sua azienda. Arrestato dai partigiani dopo la Liberazione, venne rilasciato dopo che gli operai raccolsero quasi 600 firme a suo favore. Nel dopoguerra Barilla concesse fideiussioni alle famiglie dei suoi lavoratori perché si costruissero una casa, introdusse il medico di fabbrica, la mensa, lo spaccio. Pochi anni dopo, nel boom economico, la Barilla fu pronta ad assumere una posizione di leadership sul mercato internazionale. Intanto Ernesto Illy, in una Trieste governata dagli angloamericani, dal futuro incerto, decise di improntare la gestione del personale alla formazione e all’inclusione, orientandola all'etica e alla felicità. La sua, come vediamo ancora oggi, fu una scommessa vincente.
Il messaggio è chiaro. Nel momento in cui si trova ad affrontare una crisi, l'azienda che esercita una funzione sociale, che rende il personale protagonista, che sa come coinvolgerlo, può uscirne non solo indenne, ma in grado di assumere un ruolo di leadership. Gli imprenditori illuminati sapevano ancor prima che nascessero gli studi di management, che investire nella coesione sociale rende l’azienda più forte e capace di assorbire e sopravvivere alle crisi. Non parliamo di ristrutturazioni derivanti da depressioni congiunturali, ma di shock violenti, come guerre, colpi di stato o traumi collettivi come i terremoti. Come nel Friuli del 1976, quando con gli impianti del gruppo distrutti e diverse vittime sotto le macerie, Andrea Pittini si impegnò a ricostruire le case dei lavoratori e un nuovo laminatoio: gli operai e l’azienda andavano di pari passo.
Partendo da questi esempi il triestino Andrea Notarnicola, consulente e formatore d’azienda, ha scritto un manuale che si legge come un racconto, ‘L'impresa spezzata’ (Franco Angeli, 173 pagg., 22 euro). Nato per rispondere a un bisogno che rientra tra le esperienze possibili, ovvero come far fronte a quegli eventi in cui la vita delle persone e delle società è travolta da un evento che si materializza in un attimo - la crisi economica della Grecia, il colpo di stato in Egitto, calamità naturali come le alluvioni che per due volte hanno devastato la Ferrero o il pastificio Rummo - il libro accompagna il lettore in tante situazioni e scenari che dimostrano come si può rinascere dopo un’esperienza traumatica.
Fino ad ora non c’erano testi in italiano, questo è un campo minato, dove di fallimento si preferisce non parlare, e quelli americani non sono compatibili con la nostra esperienza. Così Notarnicola ha messo la bibliografia internazionale in relazione con le sue esperienze ed è andato a scavare nella storia. Sono venute fuori vicende dimenticate, come quella delle Generali, che dopo Caporetto dovette trasferire in poche settimane la sua sede veneziana a Roma, mentre già la guerra aveva falcidiato i dipendenti, caduti in trincea e divisi tra quelli che combattevano per l’Italia e quelli che stavano con l’imperatore.
La morale è che le aziende che sono uscite da una crisi devastante hanno un grosso debito con i lavoratori. Sono stati loro a creare una comunità capace di futuro. Sta nella lungimiranza dell'organizzazione motivarli e capire che ci si salva tutti assieme o tutti assieme si va a fondo. È la forza dell’unità e della fiducia che riesce a motivare le persone.
Notarnicola non nasconde che la crisi italiana in questo momento dà forma a un’angoscia collettiva sul futuro dell’economia. La paura del futuro esiste, ma gli esempi del passato invitano a non scoraggiarsi. E poi c’è un’altra nota da non sottovalutare. Siccome nell’emergenza, che porta alla ribalta diverse forme del talento, si scopre chi è resiliente e ha forza, spesso sono le donne a emergere e a tirare fuori risorse fondamentali per governare le avversità e costruire un’impresa e una società più innovativa e sostenibile.
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