L’Iran di Goli Taraghi, un paese dove si sopravvive anche con l’ironia

TRIESTE. Ironici e autoironici, probabilmente, si nasce. Scrittori si diventa allorché si scopre con meraviglia che una piccola boccetta di inchiostro può contenere il mondo intero e che è possibile raccontarlo, con il proprio taglio.
Goli Taraghi, la scrittrice originaria di Teheran, grande signora della letteratura persiana, residente in Francia, che le ha attribuito l'onorificenza di "Chevalier des Arts et des Lettres", a Trieste nei giorni scorsi dove ha presentato il proprio libro "La signora melograno" (Calabuig, Milano, 270 pagg., 14 euro) alla libreria Lovat, questa scoperta la racconta così, ricordando il suo incontro, affascinato, da bambina, con l'atto della scrittura del padre, autore, traduttore, direttore di una rivista letteraria nell'Iran degli anni Quaranta: «Avevo quattro anni, lo vedevo intingere il pennino nel calamaio, e sui fogli apparivano strani segni, a me sconosciuti, uno dopo l'altro. Mi mostrò che sulla carta poteva trascrivere il nome di qualsiasi oggetto, ma anche qualsiasi concetto avessi in mente. Allora, quando uscì dalla stanza, misi le dita nell'inchiostro, e cominciai a fare dei segni sul tavolo, anch'io. E poi me ne feci tanti addosso, scrivendo così la mia prima storia. Quando mia madre mi trovò tutta sporca mi sgridò, lavò e persi sotto l'acqua probabilmente la più bella storia che ho mai scritto. Scoprendo, per la prima volta, che esisteva la censura».
Risposte vivaci, mai banali, quelle di Goli Taraghi, come la sua scrittura, non importa quanto possano essere originali le domande. Perché risposte attinte dalla memoria, dall'osservazione della realtà e dei caratteri «di un Paese, l'Iran, ricco di contraddizioni, assurdo, pieno di personaggi così surreali da sembrare fatti apposta per entrare nei racconti». E fuse saldamente all'ironia, tratto caratteriale e punto di vista sulla realtà.
«Vedo in quest'ultima - spiega - un modo molto efficace per connettermi ai miei lettori, mantenere alta la loro attenzione, pur condividendo con loro il fatto che la vita sia fatta anche di tristezza, amarezza, tenebre. Anche nella tragedia c'è quasi sempre un lato autenticamente comico, hanno saputo mostrarlo autori come Miguel de Cervantes, ma anche Benigni con ’La vita è bella’, o i grandi interpreti come Mastroianni, Sordi, che amo molto. La comicità intrinseca alla vita non è mai stupida. Ho vissuto anche molti momenti dolorosi, ma l'ironia, il saper sorridere anche di me stessa, mi sono stati sempre di grande aiuto».
Nei racconti di "La signora melograno", Taraghi, che ha vissuto in Iran prima della Rivoluzione, quindi in esilio in Francia per trent’anni, con frequenti ritorni in una Teheran diversa «ma ancora piena di incanti», descrive personaggi spaesati, eppure non sconfitti, alle prese con delle loro peripezie, in Iran, a Parigi, o in aeroporti che collegano luoghi creando però spazi di scollatura nel corso dell'esistenza, mentre «anche partire e ritornare è un modo di vivere».
Personaggi mai secondari, che, nella «pena del vagabondare», inseguono al contempo i propri monologhi e l'esigenza di un contatto, in modi apparentemente surreali forse proprio perché così istintuali, impetuosamente o ingenuamente. Come l'anziana contadina analfabeta Melograno, il cui racconto dà il titolo al libro, con un suo passato duro e poetico e il suo rocambolesco viaggio per ricongiungersi ai figli, verso una Svezia temuta e leggendaria.
Anche “Gentile, ma ladro” porta sulla carta «quello strano che diventa normale», l'insegnante di matematica che, con la Rivoluzione, è diventato così povero da dover rubare. Ma senza perdere la gentilezza d'animo, al punto da lasciare dietro ai propri furti delle sincere note di scuse e la restituzione di una parte del maltolto. E anche qui il debito narrativo è con la realtà: «Un amico di famiglia - racconta l'autrice - era terrorizzato dai ladri, ma soprattutto che gli facessero del male rubando in casa sua durante la notte. Così quando, calato il buio, un ladro arrivò davvero, lui si finse addormentato. Così bene che il ladro educato e ’provvisorio’, stupito che non si svegliasse, si chiese se non fosse morto, e preoccupato gli controllò il polso».
Calabuig è una nuova avventura editoriale, iniziata in questo mese d'ottobre proprio con la pubblicazione del libro di Goli Taraghi, nella traduzione dal persiano di Anna Vanzan, e quella del "Romanzo luminoso" dell'uruguayano Mario Levrero. In programma la traduzione di opere del francese Dominique Fabre, del giapponese Kazushige Abe, dell'argentina Habe Uhart, dell'australiano Murray Bail, e altre esplorazioni nella letteratura internazionale inedita in Italia, selezionata per l'eccellenza nella scrittura e la capacità di riaccendere il gusto della lettura.
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