Luisella Fiumi, la nuova edizione della sua opera pià famosa riedita 100 anni dopo

Oggi è un nome quasi dimenticato. Eppure Luisella Fiumi ha scritto memoriali di successo, tutti votati a esprimere il bisogno di libertà delle donne. Nata a Milano, ha trascorso un lungo periodo della sua vita a Trieste, per tutto il liceo e gli studi universitari. E proprio a Trieste ha iniziato a scrivere collaborando attivamente con “Il Piccolo” e altre riviste.
Nel centenario della sua nascita, Neri Pozza ha ristampato il suo libro di maggior successo, “Come donna, zero” (pag. 176, euro 15), edito per la prima volta nel 1974 da Mondadori. Poi di libri ce ne sono stati altri, sempre con un ottimo riconoscimento di critica e di pubblico.
Tanto che il Corriere della Sera lo definì un «Un furibondo memoriale». Era sposata con Gaetano Tumiati, anche lui giornalista e scrittore, vinse un Campiello nel 1976 con “Il busto di gesso”. Dalle dichiarazioni del marito il loro fu un colpo di fulmine. Si incontrarono nella mensa dei giornalisti alla fine degli anni ’40 e si sposarono nel 1953. Ebbero due figlie gemelle, Anna e Francesca.
Molti i momenti felici, anche se Luisella per carattere era meno comunicativa del marito, più circospetta e diffidente del mondo. Felicità che venne meno con gli anni, anche a causa della sordità di lei che la isolava dal mondo. «Affascinanti erano anche le sue contraddizioni caratteriali – aveva dichiarato Gaetano in un’intervista – timida ma risoluta, dimessa nell’abbigliamento ma in fondo in fondo un po’ snob, radicata nella sua milanesità, ma piena di nostalgia per la sua Trieste».
Parole che corrispondono a “Come donna, zero”, lì dove appunto si evidenziano tutti questi aspetti, ma con uno stile ritmatissimo, ironico, proprio “furibondo”, come era stato definito. In prima linea c’è l’anelito alla libertà, come donna, come madre, come moglie, ma ci sono anche tutte le restrizioni di quel periodo.
O meglio, sono ancora attive tutte quelle convenzioni sociali, quelle idee consolidate e stagnanti che impedivano a una donna di essere davvero libera. Fiumi però non affronta mai la questione con la pesantezza dell’ideologia. Piuttosto lo fa tracciando quadri memoriali di un menage domestico che tenta di risolvere le faccende con apparente democrazia.
Ma è solo un’illusione. Soprattutto per chi, come lei, era nata nel 1924 e perciò educata alla evidente (anche se taciuta) “superiorità” maschile. Quindi sì, ci si trova di fronte a un andamento domestico educatissimo, che Fiumi sa restituirci nella chiarezza di un marito garbatamente autoritario. Non a caso lo chiama “Bosi” che di fatto sta per Boss. Tanto più che lo definisce un marito perfetto, calmo, gentile, di quelli insomma che ti chiede le cose con tatto, ma di fatto comanda lui. E lo sa fare. Gli bastava dire: «quei calzini che non si rammendano da soli» per sentirsi una moglie in difetto.
Ma dietro la moglie c’è sempre l’intellettuale e se Bosi esprime le sue idee in modo assoluto: «gli uomini parlano solo quando hanno qualcosa da dire mentre le donne parlano sempre di qualsiasi cosa», ecco che la sua risposta non tarda: «Gli uomini non parlano per il semplice motivo che non sanno cosa dire. Agiscono molto e pensano poco, per questo non parlano. Chi pensa parla».
Ma insomma di battibecchi del genere è pieno il libro, sempre in un contesto narrativo spassoso, di quelli insomma in cui si esprimono contesti difficili, ma con il sorriso. Così gli affreschi – e i rapporti discriminanti tra i due sessi – si allargano al resto della famiglia: alla madre, anche lei figura complessa e contraddittoria, femminista a suo modo ma sempre con un occhio di riguardo verso l’uomo. Almeno apparentemente. Così come esilarante è il rapporto generazionale con le figlie, Anna e Francesca, due gemelle per nulla simili, ma sicuramente più libere della madre. Un memoriale che pare scritto ieri, intelligente, divertente, frontale, ben più consapevole di tanti proclama e che nella consapevolezza – mai aggressiva – tenta di trovare una possibile libertà.
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