L’ultima bacchetta di Victor
A cinquant’anni dalla morte una mostra alla Scala ricorda il grande De Sabata

Infuocato, estatico, demoniaco, incandescente. Ma, soprattutto, dionisiaco: sono gli aggettivi attribuiti a Victor de Sabata, il maestro da taluni considerato più grande di Toscanini. D’altronde è l’unico direttore, proprio insieme a Toscanini, il cui busto (opera in marmo di Igor Mitoraj) sia stato collocato nel foyer dei palchi della Scala. A lui, nel cinquantenario della scomparsa, la Scala dedica la mostra “Una vita per la Scala” (fino al 7 gennaio) organizzata dal Museo Teatrale alla Scala e curata da Franco Pulcini, direttore editoriale. L’allestimento (Valentina Dellavia su progetto grafico di Emilio Fioravanti) si articola in 14 pannelli che attraverso fotografie e testimonianze provenienti dagli archivi scaligeri e dall’Archivio Eliana de Sabata ripercorrono la vita di questo straordinario, multiforme musicista. Vita che, dalle parole di Gianandrea Gavazzeni- «fu calata nella musica in modo totale ed assoluto e in una forma così originale da non somigliare ad alcun’altra».
Victor de Sabata (Trieste 10 aprile 1892-Santa Margherita Ligure 11 dicembre 1967) arrivò a Milano ragazzo, trasferitosi con la famiglia. Il padre Amedeo, maestro di canto di origine friulana, era maestro del coro all’Opéra di Montecarlo, la madre Rosita Tedeschi proveniva da una famiglia israelita. Victor fu ammesso precocemente al Conservatorio Verdi, dove si diplomò con lode a 18 anni in violino, pianoforte e composizione. Aveva incamerato qualche esperienza non comune. Per esempio, suonando il timpano in orchestra, con Arturo Toscanini sul podio. O dirigendo a undici anni, con esito trionfale, un concerto di allievi del Conservatorio. O presentando come saggio di diploma una Suite per orchestra composta nel 1909 (a 17 anni), che venne eseguita alla Scala, all’Augusteo di Roma e in varie sale da concerto anche straniere. Già si è capito il livello. Fu presto chiaro che la sua vera vocazione era la direzione d’orchestra. Dotato di orecchio assoluto e di una memoria prodigiosa, che gli permetteva di dirigere senza partitura composizioni tra le più complesse e in possesso di un infallibile intuito musicale, de Sabata è l’unico direttore che sia stato in grado di suonare indifferentemente tutti gli strumenti dell’orchestra. Oltre alla passione per la musica, ereditata dal padre, uomo di grande cultura, Victor parlava cinque lingue e disegnava con talento.
Com’era, l’uomo? Sposato con Eleonora (Nori) Rossi, due i figli (Elio ed Eliana), de Sabata fu, come si sa, un grande seduttore di cuori femminili. Importante la sua relazione con la giovanissima Valentina Cortese, che nelle sue Memorie lo ricorda come l’amore della sua vita. Rigoroso, severo, irritabile – «a tavola, non sopportava il tintinnio delle posate di noi bambini», ricorda la figlia Eliana- era anche capace di grande tenerezza. Solitario, integerrimo, fu irremovibile nella professione. Non accettò nessun incarico che gli imponesse di lasciare La Scala, dove, oramai star mondiale di prima grandezza, nel 1954 fu nominato sovrintendente artistico. Vi era approdato giovanissimo: a vent’anni vi diresse il suo primo concerto, ma già nel 1917 aveva fatto il suo debutto al Piermarini come compositore, con l’opera Il macigno. Nei primi anni fece la spola tra Roma (Accademia di Santa Cecilia) e Montecarlo, cooptato dall’Opéra come direttore stabile dove Tosca, La rondine, La fanciulla del West, Madama Butterfly, poi il Trittico misero in luce la sua predilezione per Puccini. Non per niente la leggendaria incisione della sua Tosca (1953, con Maria Callas, Giuseppe di Stefano, Tito Gobbi) è considerata la migliore della storia del disco. Si dirà: già, con quegli interpreti… Ma è soprattutto l’ incandescente direzione di de Sabata ad aver prodotto quest’opera perfetta. Intanto, il Maestro non abbandonava la composizione (in tutto lascerà 6 opere, tre poemi sinfonici e musiche da camera). Percorreva il mondo. Superfluo citare date, paesi, teatri e opere. Carriera sbalorditiva, quella di Victor de Sabata testimone dell’età delle grandi voci. Le più vicine a noi: Renata Tebaldi (memorabili la Traviata, Andrea Chénier, Aida, Falstaff, Tosca, Messa da Requiem ); Gigli, Del Monaco, di Stefano, Corelli. Poi, i problemi di salute. Nel 1956, dopo il primo infarto decise di rinunciare all’incarico scaligero, accettando quello di alto consulente artistico a titolo onorifico. Dopo il secondo, fu costretto ad abbandonare anche la direzione d’orchestra. Aveva 61 anni. Il 18 febbraio 1957 diresse per l’ultima volta. Fu l’Eroica di Beethoven, alla Scala e in Duomo, per i funerali di Toscanini. De Sabata lasciò Milano e si rifugiò a santa Margherita Ligure. Morì il 10 dicembre 1967. Le sue cornee furono regalate a una giovane madre di famiglia. Alla celebrazione funebre l’orchestra della Scala suonò questa volta senza direttore, guidata dal violino di spalla Franco Fantini.
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