“Madonna con Bambino” di Cima da Conegliano un tesoro sconosciuto

l’opera
Con l’obiettivo di riportare all’attenzione del pubblico opere di grande pregio sul tema della Natività, si rinnova anche quest’anno l’iniziativa promossa dalla presidenza e dall’assessorato alla Cultura della Regione “Un tesoro sconosciuto in un palazzo da scoprire”. Da oggi al 9 gennaio prossimo, nell’atrio del Palazzo della Regione in Piazza Unità d’Italia a Trieste, sarà esposta la “Madonna con Bambino” di Cima da Conegliano, abitualmente conservata al Museo Civico di Gemona.
Datata al 1496, la tavola riassume le caratteristiche più significative di uno dei maggiori esponenti della pittura veneta del Quattrocento: Giovanni Battista Cima, meglio conosciuto come Cima da Conegliano, dal luogo della sua nascita, avvenuta tra il 1459 e il 1460, e dal mestiere dei suoi genitori che, lavorando alla preparazione dei tessuti e alla finitura dei panni di lana, erano detti per l’appunto “cimatori”.
Forse allievo di Bartolomeo Montagna, entrò in contatto con artisti veneziani quali Alvise Vivarini e Giovanni Bellini. Nel 1492 la sua residenza è attestata a Venezia, a palazzo Loredan in campo San Luca, vicino al Canal Grande. Nella città lagunare rimase gran parte della sua vita avviandovi una fiorente bottega ma continuando a far ritorno a Conegliano, specie d’estate.
Il legame con la sua terra d’origine è evidente negli sfondi paesaggistici di molti suoi dipinti dove compaiono il castello, le mura, le torri della città trevigiana, i colli circostanti. Le fonti tramandano che il pittore lì possedeva dei terreni, la qual cosa gli consentiva una certa agiatezza economica potendosi così permettere di pagare l’affitto del palazzo veneziano e soprattutto di utilizzare nella sua pittura preziosi pigmenti come la polvere di lapislazzuli per il blu oltremare.
Preziosi sono i colori, idilliaco il paesaggio pure nella “Madonna con Bambino” di Gemona: basti osservare i cangiantismi del risvolto rosa-lilla del manto della Vergine piuttosto che l’azzurro delle colline e dei monti in lontananza. In questo caso il castello turrito vicino al fiume dovrebbe essere quello di Collalto, come si legge nel catalogo della mostra dedicata al pittore dal Comune di Conegliano nel 2010. La balaustra marmorea su cui compare un cartiglio con la firma e la datazione, a dividere lo spazio reale da quello divino, rimanda a tanti analoghi soggetti di Giovanni Bellini. E analoga è pure la delicatezza, la dolcezza, la spontaneità dei gesti del bambino, dello sguardo della madre.
Proprio il volto della Madonna tuttavia mostra una grazia, un’eleganza, finanche una tipologia non proprie dell’autore. Come suppone Franca Merluzzi nel testo contenuto nel libro “Il Museo Civico di Gemona”, l’opera del Cima fu probabilmente commissionata dai frati minori osservanti per la chiesa della Beata Vergine delle Grazie di Gemona; venerata e ritenuta miracolosa, fu presto danneggiata nella parte centrale a causa del fumo della lampada a olio che ardeva sull’altare dove si trovava, oltre che per l’abitudine di applicarvi degli ex voto.
I vari restauri cui venne sottoposta negli anni mostrano un volto della Vergine molto diverso dai volti delle tante altre Madonne dipinte dal Cima e soprattutto da quello di una copia della medesima opera eseguita dal pittore friulano Secante Secanti nel 1590.
Tra le vicissitudini subite dal dipinto c’è anche un furto: nella notte tra il 15 e 16 gennaio del 1972, fu sottratto da ignoti e dopo un anno e cinque mesi di ricerche ritrovato dagli agenti della Guardia di Finanza, a seguito di una segnalazione, dietro il cimitero di Risano nel comune di Pavia di Udine. Da allora la tavola non tornò più nella chiesa gemonese dove fu sostituita dalla copia di Secanti.
L’esposizione, realizzata in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia, le Fondazioni Friuli, CRTrieste e Carigo, Erpac, Fai regionale e Comune di Gemona, sarà visitabile gratuitamente dalle 10 alle 18. —
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