Magistrati e avvocati di grido firmano racconti magistrali dentro e fuori le aule di giustizia

La giustizia. E la legge. La verità dei fatti. E la verità processuale. In tempi così incerti e densi d’inquietudini e sfiducia, è necessario non rinunciare mai a voler capire e dunque a saper distinguere, indagare, costruirsi responsabilmente un’opinione. Un libro come “La misura del tempo” è essenziale. Scritto da Gianrico Carofiglio e pubblicato da Einaudi (pagg. 288, euro 18), fa tornare in scena l’avvocato Guido Guerrieri, un po’ più anziano, stanco e sgamato sui controversi aspetti della condizione umana. Con un caso difficile da affrontare: difendere un ragazzo, già condannato in primo grado, per un omicidio in un giro di spaccio di droga, sulla base di indizi pesanti, tutti convergenti contro di lui. La situazione è complicata da un dettaglio sentimentale: la madre era stata, tanti anni prima, una grande passione di Guerrieri, improvvisamente sparita nel nulla, dopo una notte d’amore. Tutto s’intreccia: memorie di tenerezza e cicatrici, rimpianti e coscienza dei guasti del tempo, violenze metropolitane e rigidità formalistiche della macchina giudiziaria, verità delle ambiguità e lato oscuro delle fiabe, dubbi sul ruolo dell’avvocato (serve davvero essere coscienti dell’innocenza di chi si difende?) e intelligenza sofisticata sul buon uso delle regole processuali, per tutelare diritti.

Il processo, cui Carofiglio (ex magistrato di grande competenza) dedica pagine di esemplare chiarezza e luminosa capacità di scrittura, è costruito come uno straordinario gioco teatrale. E la lezione umana e civile che se ne ricava insiste sulla necessità di andare sempre oltre il simulacro delle apparenze, i giudizi moralisti sulle colpe. La vita, anche di fronte alla legge, è molto di più.

Sono analoghe le valutazioni che si ricavano dalle pagine di “Castigo” di Ferdinand von Schirach (Neri Pozza, pagg. 172, euro 17), dodici racconti in cui l’autore, avvocato penalista di fama (ma anche romanziere di successo, indagando soprattutto sulle ombre della Germania nazista, di cui il nonno era un potente gerarca) ricostruisce casi giudiziari in cui si mescolano tormenti e sconfitte, illusioni e ossessioni, ambigue luci di moralità e densi sensi di colpa. La controversa condizione umana, appunto. Che le forme della legge cercano di mettere in un certo ordine. Talvolta, invano.

C’è un altro punto di vista, di cui tener conto: quello della lotta per strappare un innocente a un intreccio perverso tra corruzione, abusi di potere ed errori giudiziari. Lo racconta, con l’abituale maestria, John Grisham, nel nuovo legal thriller, “L’avvocato degli innocenti” (Mondadori, pagg. 324, euro 22). Il protagonista, Gullen Post, è un ex avvocato, deluso dalle distorsioni dell’apparato giudiziario americano e diventato pastore dei Guardian Ministries, un’associazione che lavora per salvare i suoi assistiti dalla pena di morte o dall’ergastolo. C’è un vecchio processo da rifare. E una potente banda di assassini da portare alla sbarra. Ci si riuscirà? L’happy end è la cosa meno importante. La giustizia ha comunque volti carichi di contrasti.

Storie. E necessarie analisi teoriche. Dedicando attenzione a “Elogio del diritto” di Massimo Cacciari e Natalino Irti (La nave di Teseo, pagg. 158, euro 18). Si va alle radici del tema, partendo da un saggio fondamentale della prima metà del Novecento di Werner Jaeger, filologo tedesco, dedicato al pensiero giuridico greco. Da una parte c’è Dike, la dea Giustizia figlia di Zeus e Themis, che governa la convivenza tra uomini e dei. Dall’altra, Nomos, il diritto codificato, per comporre le discordie nella polis, tra gli uomini. Sono lì, le radici della discussione, che attraversa tutto il pensiero occidentale, tra la domanda di verità e giustizia posta da Dike e le risposte delle norme, variabile secondo i valori del tempo e il gioco dei poteri.

Cacciari ragiona da filosofo con acuta sensibilità per il pensiero politico. Irti è un giurista che conosce l’economia e il peso degli interessi (è stato banchiere di grande prestigio). Ed entrambi convergono nel parlare di incertezze in tempi di “politeismo giuridico”. —

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