Marcello Veneziani: «La nostra libertà ha dei limiti. Solo accettandoli, ci salveremo»

Elisabetta de Dominis
Marcello Veneziani non ha scritto un instant book sulla condizione che stiamo attraversando, perché Dispera bene. Manuale di consolazione e resistenza al declino (pagg. 152, euro 17) è stato meditato e scritto l’anno passato e pubblicato da Marsilio a gennaio. Il giornalista e scrittore era atteso a Trieste e a Grado per le consuete presentazioni estive, invece chissà. Intanto, ci racconta telefonicamente qualcosa di questo prontuario filosofico utilissimo per i tempi che corrono.
Veneziani, sembra lei abbia avuto una premonizione quando ha scritto “È venuta meno la speranza che le cose possano durare”. Finora parlare di mancanza di speranza era un tabù, ma oggi la fiducia nel domani sta proprio venendo meno. Si ha la percezione che tutto non sarà più come prima: saremo più buoni o più cattivi dopo il Covid 19?
«Saremo diversi, più avviliti e più depressi perché la sfiducia si è acuita. Questa pandemia non ci ha cambiato eticamente o intellettualmente, non ci saranno cambiamenti risolutori. Non mi reputo un pessimista, io nutro una fiducia nata dopo la disperazione. Suggerisco sì di disperare, ma senza perdere la fiducia. Viviamo in un’epoca in cui i grandi principi in cui credevamo sono venuti meno. Il mio è un “manuale di consolazione”, indica delle vie d’uscita da una situazione sconfortante. Si tratta di intraprendere percorsi per ridare qualità e sostanza alla propria vita, attivando i “tappeti volanti” per visitare altri mondi al fine di trovare la salvezza. Mondi immaginari come l’arte, il cinema, la letteratura, i giochi, i miti, i ricordi del passato e la speranza nell’eterno... per vivere storie eroiche e gloriose o realizzare la propria spiritualità. Altrimenti si rimane ancorati alla propria dimensione biologica, alla “vita nuda” per difendere la quale si perdono le ragioni per cui la vita merita di essere vissuta. Per salvaguardare la salute stiamo sacrificando altri aspetti della vita. Salute non equivale a salvezza».
Lei è un politologo, eppure non consiglia il percorso politico, anzi scrive: “Stai alla larga dalla politica e dall’arroganza di massa degli ignoranti”.
«Ero già disincantato dalla politica prima, ora di più: vince il demerito, l’ignoranza è quasi una virtù. E in questa fase storica la cosa più insopportabile è che, pur stando lontani dalla politica, la politica non sta lontana da noi: ci sta addosso. Proviamo sentimenti di rabbia e di protesta per una tale ingerenza: questa libertà vigilata è un’altra forma di prigionia».
Cos’è oggi la libertà? Lei suggerisce alcune regole di vita, che gli antichi Greci ci hanno indicato, ma che abbiamo dimenticato e che dedica ai giovani della classe duemila.
«Sì, diventa ciò che sei, che significa: fatti bastare la tua vita, accetta i tuoi limiti perché sono il tuo riparo. Devi nutrire l’amor fati, amare il tuo destino. Invece si persegue “lo stare bene con se stessi”, che significa: la mia libertà non ha limiti, voglio fare tutto quello che mi sento di fare, non ho obblighi morali, regole, responsabilità. Ma questa è la “religione dei Kazzimiei”. La tentazione del transumano, l’umanità geneticamente modificata, è inquietante: l’uomo smette di essere cos’è e diventa cosa vuole essere, pensa di potere cambiare la propria natura, non ha più il senso del limite. I giovani sono scesi in piazza a manifestare per l’inquinamento del pianeta, ma è in pericolo l’umanità prima del pianeta. L’inquinamento nasce nella testa dell’uomo perché non ha capito che la libertà non è un diritto assoluto: per ogni libertà c’è un dovere, un compito. Solo così diventa un bene prezioso».
La “regola dello spiraglio”, che indica, è una via di salvezza in extremis?
«È un atto di estrema fiducia: devi sempre lasciare la porta socchiusa all’imprevisto. Stupirsi di se stessi permette di tracciare nuove frontiere. Non guardare solo al momento che passa, ma oltre, per cogliere il senso dell’eterno e preservare i rapporti umani». —
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