Margarethe von Trotta a Gorizia: «Germania e Italia dimenticano il passato»

GORIZIA È lei a ricordarlo, senza che le si chieda nulla in proposito. «Ho girato un film per la tv a Trieste, “La fuga di Teresa”, quindi ho vissuto in città nel 2010 e me ne sono innamorata. E quando avevo un po’ di tempo andavo sempre allo stesso posto: in piazza Unità, a prendere un aperitivo al Caffè degli Specchi».
Sa bene, Margarethe von Trotta, che fra Trieste e Gorizia c’è meno distanza di quella che c’era tra le due Berlino, separate dal muro. Ora la regista, sceneggiatrice e attrice torna in regione “con grande piacere”, parole sue, protagonista dell’Amidei 2019: oggi, alle 17.30, al Kinemax di Gorizia, intervistata da Enrico Magrelli e Leonardo Quaresima, incontrerà il pubblico; quindi, alle 21.15, al parco Coronini Cronberg, ritirerà il “Premio all’opera d’autore”.
Signora von Trotta, partiamo dalla città dov’è nata: Berlino. Sono trent’anni che il muro è caduto. Le capita, talvolta, di rimpiangerlo?
«Mi spiace che avevo un altro contatto con gli amici dell’Est e che da allora ho un po’ perso. Ma quando il muro è caduto, vivevo a Roma. Oltre che a Roma, ho vissuto a Monaco, a Parigi e in altre città ancora. A Berlino sono soltanto nata, quando non era ancora divisa. In ogni caso, quando mi capitava di essere lì andavo anche a Berlino Est, mentre chi stava a Berlino Ovest a Est non andava. Il muro che la tagliava crudelmente in due non si può certo rimpiangere».
Siamo in epoca di globalizzazione e il fenomeno migratorio occupa l’attualità. I muri potrebbero frenarlo?
«Sono contro i muri, in ogni campo. Sono sempre qualcosa di troppo».
Avrà seguito da vicino il caso della Sea Watch. Sta dalla parte del ministro Salvini o della capitana Rackete?
«Non si può davvero immaginare, con tutto il cinema che ho fatto, che io sia dalla parte di Mussolini…».
Un lapsus o davvero paragona Salvini a Mussolini?
«Un po’ sì. Per me è una continuazione di un certo periodo della storia italiana. Non posso sopportare chi è nazionalista, perché mi fa anche pensare alla Germania dove, peraltro, ci sono nuovamente nazionalisti e comunisti. È come se Germania e Italia avessero dimenticato il passato».
La Germania i conti con il passato li ha fatti fino in fondo?
«L’ho creduto, l’ho sperato. Ma quando vedo ora nuovi movimenti nella Germania dell’Est ispirati al nazionalismo mi viene davvero da pensare».
Quanto il cinema deve essere politico, impegno?
«La politica è la politica. L’arte non deve essere un impegno politico. Poi, certo, e penso ai grandi film italiani, si tratta di lavori con una certa presa di posizione, per lo più di sinistra. Ma non venivano fatti con l’intento di una dichiarazione politica. Il cinema è solo una lotta per l’arte e per la libertà dell’arte».
Lei viene considerata un’esponente di punta del cosiddetto “nuovo cinema tedesco”. Ci si ritrova?
«Gli artisti sono contro le categorizzazioni, ma è vero che c’è la definizione di “nuovo cinema tedesco”, anche se ora siamo tutti vecchi…».
Wenders, Fassbinder, Reitz, Herzog, tanto per far dei nomi. A chi si sente più vicina?
«A Volker Schlöndorff, anche perché era mia mio marito. Mi ha insegnato molto su come fare cinema. Abbiamo scritto sceneggiature assieme e assieme abbiamo fatto “Katharina Blum”. Del resto, osservo ciò che faccio io. Ho dovuto cercare la mia strada da me, costretta a attendere un po’ più di tempo rispetto ai miei colleghi: la mia è la strada di una donna e per una donna non era facile».
Il mondo del cinema è maschilista?
«Forse ora un po’ meno, ma un tempo lo era molto».
Ha subito avances particolarmente spinte?
«Sì, certamente. Ci sono stati registi che per farmi ottenere una parte mi hanno chiesto di andare a letto con loro. Ma è successo a ogni attrice. Poi, quando sono diventata regista, ci sono stati i critici che mi hanno qualche volta aggredito. Un critico tedesco, negli anni Ottanta, dopo il mio film “Lucida follia”, aveva scritto: “Perché si dà ancora soldi per far cinema a questa persona solo perché non ha un cazzo? Certo, oggi nessun giornalista, nessun critico potrebbe permettersi di dire una cosa del genere».
Più di qualche attrice ha denunciato a distanza di anni il suo aggressore? Che ne pensa?
«Che le donne si difendano mi fa piacere. D’altra parte, ho trovato qualche denuncia un po’ esagerata: delle vite sono state distrutte. Io di avance ne ho ricevute, ma le ho sempre potute rifiutare. Diverso, certo, è il caso delle violenze che non vanno mai giustificate. E io non sono mai stata violentata».
A proposito di donne del cinema, Lina Wertmüller ha vinto l’Oscar alla carriera…
«La amo, come regista, ma anche come donna. L’ho sempre trovata molto spiritosa, intelligente».
Pensando a un regista italiano e a un film del nostro Paese, chi e che titolo le vengono in mente?
«Non ho mai avuto una preferenza. In passato il cinema italiano era il migliore, il più geniale. Erano tanti i registi che erano i più grandi: in ciò son d’accordo con Scorsese. E poi i registi italiani erano molto differenti tra loro: per esempio, c’era chi, come Francesco Rosi, era apertamente politico, e chi, come Pier Paolo Pasolini, più poetico. Ma tutti erano dotati di una forza intellettuale e artistica eccezionale. Ora, non conosco più il cinema italiano così a fondo. Certo, conosco Sorrentino, Garrone, e qualche altro ancora».
Sorrentino le piace?
«Sì, molto, non tutto. “Il divo”, per esempio, lo trovo geniale».
Nel complesso, ora trova il cinema italiano superiore a quello tedesco?
«No, questo non lo posso dire. Oggi conosco meglio il cinema tedesco di quello italiano. Perché non tutti i film italiani sono distribuiti in altri Paesi. Io non vivo più in Italia. Ma ogni anno partecipo al Bari International Film Festival e i lavori che sceglie Felice Laudadio sono sempre molto interessanti. Quindi, il cinema italiano esiste ancora. Sono io che non conosco ogni suo film, a differenza dei film del cinema tedesco»
A quale progetto sta lavorando?
«Preferisco non dire nulla. Nanni Moretti, che come me è superstizioso, mi ha suggerito di non parlare mai dei progetti futuri, per timore che non si realizzino». —
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