Mario Isnenghi «Vittoria mutilata? Una definizione del tutto suicida»



Al centro dell’incontro di domenica alle 17.30 al teatro Verdi di Gorizia con relatore Mario Isnenghi, docente emerito di storia contemporanea all’università Ca’ Foscari, ci sarà una riflessione sulla “vittoria mutilata” riferita alla Grande Guerra. «Trovo sorprendente il fatto che l’Italia, che non aveva mai vinto un conflitto come quello, non si sia tenuta stretta la vittoria ma ci abbia sputato su, dichiarandola, appunto, “mutilata”: invece di tenersi caro il successo, lo ha sminuito, sporcato. Per me - afferma Isnenghi - è un fatto stranissimo, psicologicamente e politicamente suicida».

“1918: come vincere la guerra e perdere la pace”, questo il titolo dell’appuntamento, rientra nelle “Lezioni di storia a teatro” organizzate con ingresso libero da Isonzo Soca, Fondazione Carigo, Transmedia e Il Piccolo. A parlare per primo di “vittoria mutilata” è stato il Vate, Gabriele D’Annunzio. «Lui e quelli come lui, ossia i nazionalisti in senso lato, non pensavano in termini di liberazioni di Trento, Trieste e, naturalmente, di Gorizia - dice Isnenghi - ma pensavano in chiave di spinta espansionistica: qualsiasi conquista, insomma, non sarebbe bastata e la guerra non avrebbe mai avuto una fine. Non a caso, negli anni, l’interventismo nazionalista ha finito per prevalere sull’interventismo democratico. E lo vediamo dal fatto che i nazionalisti da subito, ma sempre più esplicitamente tra il ’17 e il ’19, si sono dimostrati più interessati a “occupare” Bolzano che a “liberare” Trento e Trieste. Inoltre, nell’Italia di quegli anni troviamo due linee: a favore e contro gli slavi. Per D’Annunzio, l’Adriatico è nostro (Mare nostrum) mentre Borgese e in parte anche Ojetti si dicono mazziniani e, come tali, amici degli slavi».

Per Isnenghi, quella della “vittoria mutilata” non è solo una questione terminologica. «Si tratta di una definizione che ha portato a gravi danni politici e psicologici - afferma lo storico -. Politici perché ha spianato la strada a una destra protofascista, psicologici per una gratificazione rovinata sul nascere dopo centinaia di migliaia di morti e di feriti e un gigantesco sforzo collettivo, comunque ciascuno la pensasse sull’entrata in guerra dell’Italia». Ancora Isnenghi: «Naturalmente, questo implica un riferimento privilegiato alle critiche da destra, mentre non mancavano di certo le critiche alla guerra di sinistra, come testimoniato dalla clamorosa vittoria dei socialisti nelle elezioni del novembre del ‘19».



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