Mentre si avvicinava la morte, Oliver Sacks diceva convinto: «Grazie alla vita»

Chissà se Oliver Sacks, tra i libri più amati, teneva anche la “Lettera sulla felicità”. Chissà se approvava lo sguardo di Epicuro sul mondo. Quel suo cercare i principi necessari per raggiungere l’equilibrio, l’appagamento. Per riuscire a guardare la morte negli occhi serenamente. Perché la vita, condotta con coerenza e convinzione, regala momenti indimenticabili. Antidoti contro la paura di vedere i propri giorni esaurirsi inesorabilmente.
C’è da pensare che, sì, Oliver Sacks conoscesse e amasse i pochi scritti sopravvissuti a Epicuro. Perché lui, il neurologo e psichiatra nato a Londra nel 1933, quando si è trovato faccia a faccia con un cancro che con perdona, ha voluto congedarsi dalla vita godendo ogni singolo minuto del tempo che gli era concesso abitare ancora. E scrivendo alcuni testi brevi. Pagine bellissime che sono state raccolte in un volumetto intitolato “Gratitudine”. Lo ha tradotto Isabella C. Blum per Adelphi (pagg. 57, euro 9) e raccoglie quattro saggi autobiografici apparsi in una prima versione sul “New York Times” tra il luglio del 2013 e l’agosto del 2015: “Mercurio”, “La mia vita”, “La mia tavola periodica” e “Shabbat”. Uscito, quest’ultimo, il 14 agosto del 2015. Sedici giorni esatti prima che si spegnesse l’autore di “Risvegli”, “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, “Zio Tungsteno”.
Dicono che Epicuro sia morto, nel 270 avanti Cristo, dentro una vasca di acqua tiepida, con un bicchiere di buon vino in mano. E gli amici più cari attorno, pronti a ricordare al filosofo di Samo quanto la vita fosse stata piena di cose belle. Come lui, Oliver Sacks si è aggrappato ai ricordi. Ma anche alla scrittura, alle persone amate e ai colleghi, a quel chilometro percorso a nuoto che ogni mattina gli regalava attimi di felicità. E poi ai viaggi, ai libri letti come un piccolo miracolo che si ripete a ogni pagina. Ai lettori che in tutto il mondo lo consideravano il più importante tra i compagni di strada.
E non importa se, tra i ricordi, riaffioravano cose sgradevoli. Come la reazione della madre davanti alla sua omosessualità, costruita su parole prese dal Levitico nell’Antico Testamento: «Sei abominevole. Vorrei che non fossi mai nato». Perché Sacks, arrivato alla fine dei suoi giorni, voleva dire semplicemente grazie alla vita. Per l’immenso privilegio di avere partecipato a una «grandissima avventura».
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