“Mister Universo” e il circo che scompare

C'è un mondo che va scomparendo, ma che da sempre ha nutrito l'immaginario cinematografico di ogni paese: è quello del circo moderno, con i suoi artisti dalle vite raminghe, poetiche ma faticose. E certo diverse da quelle che conosciamo dai classici come "La strada" di Fellini e "Il cielo sopra Berlino" di Wenders. Gli acclamati registi Tizza Covi e Rainer Frimmel se ne occupano da dieci anni, con film di finzione sempre bagnati di realtà, come "Non è ancora domani (La pivellina)" del 2010 dove una bimba veniva adottata da una famiglia circense. Oggi pomeriggio i due autori presenteranno in concorso al Trieste Film Festival "Mister Universo", il loro ultimo lavoro in programma in Sala Tripcovich alle 16.
Come sempre i due registi sono partiti dai protagonisti reali, tutte persone che interpretano loro stessi. Per esempio Tairo Caroli, già comparso in "Non è ancora domani (La pivellina)": è un ventenne domatore di leoni nello storico circo di famiglia. Il film racconta di come Tairo vada in crisi perché perde il suo amuleto personale, un ferro piegato dall'ex Mister Universo Arthur Robin, e decida di rintracciare l'uomo per farsene fare un altro. Robin nel 1957 fu il primo Mister Universo di colore, fece poi una lunga carriera sotto il tendone piegando con le mani barre di ferro e oggi vive in una casa roulotte a Varallo Pombia, vicino Novara, con la moglie Lilly. Dall'unione delle loro storie esce un ritratto affascinante degli artisti di strada e di un mondo decadente ma in qualche modo ancora magico. "Mister Universo", già premiato al Festival di Locarno, uscirà anche in sala il 9 marzo dalla nuova casa di distribuzione indipendente padovana Tycoon Distribution.
Tizza Covi, perché da tanti anni vi occupate dell'ambiente circense?
«C'è un cliché sul mondo del circo che parla di libertà e viaggio. Ma nei primi circhi dove siamo stati abbiamo visto questi tendoni alle periferie delle città, nel fango, con poco pubblico: tutto quello che ci immaginavamo non era vero. Per questo ci interessa far vedere che la realtà è diversa».
Come nasce l'idea del film?
«Dopo "La pivellina" avevamo promesso a Tairo che avremmo lavorato ancora con lui. Così abbiamo cercato una storia che potesse unirlo a un'altra persona eccezionale che conosciamo da tempo, Arthur Robin. Noi non facciamo casting, scriviamo sempre le sceneggiature sui nostri protagonisti reali. Conosciamo Tairo, sappiamo che è superstizioso: questa storia potrebbe benissimo appartenergli veramente».
Nel vostro cinema la realtà è una parte integrante...
«La realtà pura al cinema non esiste: è sempre quella che si vuol far vedere. Ma cerchiamo di avvicinarci più possibile a quello che vediamo quando la cinepresa è spenta. Siamo documentaristi nel cuore. Quindi questo è un film "di finzione" ma, per esempio, facciamo improvvisare i dialoghi ai protagonisti. È un bell'avvicinamento alla realtà».
Avete inseguito la famiglia di Tairo in tutta Italia…
«Tairo è l'ottava generazione della sua famiglia circense, e così anche la contorsionista Wendy, che ha nonni circensi che vengono dall'Inghilterra. Arthur Robin invece viene da Guadalupe ed è arrivato al circo dopo Mister Universo. Le famiglie di circo sono numerose e molto unite, continuano sempre a viaggiare insieme. Anche gli anziani è come se non andassero mai in pensione, danno una mano, magari vendendo i biglietti o i pocorn».
La crisi economica e il cambio di gusti sta facendo svanire il circo stesso…
«Il lavoro con animali feroci è destinato a finire tra poco, in molti paesi dell'Unione Europea è già vietato e lo sarà presto anche in Italia. Il circo simbolizza tutte le cose che stanno svanendo, come i piccoli negozi, e anche il film analogico: non a caso giriamo in pellicola».
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