Monica Guerritore gira a Trieste l’omicidio della contessa Trigona

Due nuovi progetti per Monica Guerritore, entrambi, in qualche modo, legati a Trieste. In attesa di scoprirli nei prossimi mesi, domani, alle 21, al Nuovo Teatro Comunale di Gradisca, in esclusiva regionale, c’è un evergreen come la sua “Giovanna d’Arco”, di cui è interprete, regista e autrice.
Signora Guerritore, partiamo dal primo progetto.
«Si tratta della prima parte di un film su un femminicidio. Si chiama “L’assassinio della contessa Giulia Trigona”, che era la zia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. La contessa è stata massacrata dal suo amante in un albergaccio vicino alla stazione Termini. Gireremo a Trieste, l’ultima settimana di gennaio, verso il 24. Saranno tredici minuti che diventeranno materiale per le scuole, affinchè si operi una sensibilizzazione alla lotta contro il femminicidio. Questi tredici minuti introdurranno poi il film vero e proprio che sarà un lungometraggio di un’ora e mezza. Per il momento, quindi, sarà un prequel che racconterà il nodo della vicenda».
Del secondo progetto, invece, cosa può anticipare?
«Sarà un progetto teatrale complesso, tutto in onore di Strehler. Saprete tutto tra venti-venticinque giorni, al momento della firma del contratto».
L’anno scorso è caduto il ventennale della morte del regista triestino. Secondo lei, è stato ricordato adeguatamente?
«Sono in moltissimi a parlarmi ancora di Strehler. Tutto quanto si fa per lui è sempre poco. Strehler al teatro ha dato la vita e ha dato vita».
Prima di Strehler e del delitto della contessa Trigona c’è, però, Gradisca. Che Giovanna d’Arco sarà?
«La stessa del 2004 e degli anni immediatamente seguenti: quella che avevo immaginato quando avevo cominciato a sentire il bisogno di raccontare una qualità come il coraggio. Giovanna è arrivata di conseguenza, dopo personaggi come Madame Bovary e Carmen (con la regia di Sepe), ma anche come “La lupa”, donne che avevano ferite, vuoti, lutti. Mi sono così messa a leggere Giordano Bruno, il “De immenso”, rappresentando corpo, mente, Dio, nella stessa persona. Dio è in noi».
Com’è il suo rapporto con la fede?
«Un rapporto forte, lo stesso dei cristiani che la vivono attraverso letture, parole, pratiche, ma sempre con una fortissima identificazione con Cristo e, quindi, con il corpo e con la fatica del corpo, anche per combattere le storture del potere. Giovanna usa la spada; metaforicamente, usa il proprio corpo per combattere un potere che era la negazione di Dio».
Si sente un po’ Giovanna d’Arco?
«Di lei, nei 59 minuti di durata dello spettacolo, non c’è nulla che mi diventa ostile. Condivido tutto di Giovanna, compresa quella della paura davanti la morte che è un po’ la stessa di Gesù quando dice “Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Per una notte è senza forza, le sue parole d’ordine diventano confuse. E questa umanissima paura che viene da tutti noi percepita e ci fa sentire Giovanna come una sorella».
Da quell’esordio, nel 2004, la sua Giovanna è cambiata?
«Lo spettacolo è rimasto come è nato. Dal 2004 al 2008 avrà fatto più di trecento repliche. Scrivevo dalle 5 del mattino fino le 8. Quindi, accompagnavo le bambine a scuola e tornavo a scrivere». —
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