Navigando in kayak tra mare e terra alla scoperta di Canovella degli Zoppoli

Dalle nostre parti c’è aria buona per i cacciatori di confini: è un’ottima zona venatoria, anche per chi va in kayak. Quali confini? Ce ne sono tanti, è questa una delle ricchezze dei nostri luoghi, benedizione e maledizione di chi vive sulla soglia. Non tutti sono visibili sulle mappe o su Google Heart. Ci vuole uno sguardo diverso, per individuarli tutti. C’è chi li odia, e che pensa che al di là del limite ci sia il male, e chi invece pensa che al di là ci sia il possibile, un altro spazio di scambio e di conoscenza. E poi – veniamo a noi – c’è il confine tra il mare e la terra, confine che seguiamo nelle nostre navigazioni domestiche in kayak, quando da terrestri ci trasformiamo in creature del galleggiamento provvisorio. Navigazioni che, diciamolo subito, si svolgono quasi sempre seguendo la linea di costa, dove il confine è spumeggiante e segnato dal frangersi delle onde.
Partiamo quasi sempre dal Villaggio del Pescatore, su cui ci sono un paio di cose da dire sono un paio di cose da dire: è stato costruito negli anni ’50 per ospitare gli italiani che se ne dovettero andare dalla Jugoslavia, e quindi anche questa bolla di diversità complica o arricchisce questa offerta speciale di confini. I toponimi (il Villaggio si chiama anche Ribiško Naselje) della costa cambiano a seconda delle epoche, ma dipendono anche da chi li pronuncia. Dopo il Villaggio ci sono delle falesie dalle quali, ancora negli anni ’50, si poteva scendere al mare. Adesso non più: la costa è stata di fatto privatizzata dai proprietari delle villette che stanno appollaiate sulla roccia. Da lì è un bel vedere l’orizzonte, dal mare un po’ meno vedere le villette e la costa di fatto inaccessibile.
Dopo dieci minuti passiamo davanti a Duino, e dopo quindici sotto la Dama Bianca (il candido monumento naturale su cui aleggia una crudele leggenda) e il castello dei Torre Tasso. Poi c’è l’SPD: la Spiaggia del Principe, per noi tappa quasi obbligata. Il tratto più bello è sfilare con le nostre barche da lì fino a Sistiana, sotto le falesie che sono un arazzo calcareo dai toni che vanno dal bianco al grigio, dal rosa al blu del mare. Vedere il castello dei Torre Tasso da sotto il contrafforte roccioso da dove domina l’Adriatico non mi stanca mai. Un Rilke redivivo vedrebbe, laggiù in fondo, questi aghi di bussola coloratissimi in vetroresina o carbonio che sfilano sotto il sentiero che da lui prende il nome, galleggiando sulle onde. “Non c’è buon vento se non sai dove andare”, diceva il poeta praghese, ed è una citazione che ho fatto mia da quando navigo questo mare. Poi c’è Sistiana, o Sesljan, dove la voce presente su Wikipedia ignora che parte della popolazione è di lingua slovena e che molti dei bagnanti che si tuffano dalle sue spiagge vengono – in giornata – dal vicino Primorje.
Dopo Sistiana c’era una cava, falesia artificiale creata dalle estrazioni dell’uomo. Era conosciuta come “Africa” perché era caldissima, e un vecchio di Aurisina che ci lavorò mi ha raccontato che gli operai erano famosi perché bevevano a dismisura. Al suo posto ora c’è Porto Piccolo, che non ha niente a che vedere col resto della costa e che d’estate è a pagamento, cosa che mi fa ritenere che la parola “paese” non gli si addica appieno. Dopo la Costa dei Barbari, ancora libera, c’è una delle nostre mete fisse, perché vi si può mangiare un fritto o una pasta in vista del mare, e c’è un rubinetto che eroga acqua fresca ai naviganti: si tratta del porticciolo di Canovella degli Zoppoli (Pri Čupah, in sloveno, ma anche Brek, segno che l’intreccio di confini domina tutta la linea di costa). Gli zoppoli erano le barche ricavate da un unico tronco e che venivano utilizzate dai contadini-pescatori che abitano il ciglione carsico, che si può raggiungere a piedi lungo il Ribiška Pot, il Sentiero dei Pescatori. Mi consta che degli zoppoli se n’è salvato solo uno, che ho visto esposto nel Salone degli Incanti a Trieste, tempo fa. Da qui fino a Miramar la costa è abbastanza libera (non tutta, eh?) e forse il tratto più bello è quello di Liburnia, di difficile accesso e perciò meno affollato di altre spiagge. C’è da dire che la comunità naturista che lo popola lo mantiene pulitissimo ed esercita una sorta di controllo “soft” per evitare che si trasformi in una zona di caccia per voyeur. Un torrentello carsico che si fa strada tra i sassi è un frigorifero naturale dove immergere le bevande che si portano da casa. Dopo il porto di Santa Croce e quello di Grignano, Miramar chiude questa navigazione tra due castelli, dai Thurn und Taxis agli Asburgo. Il ritorno più bello, quello che ci immerge in un altro sguardo ancora, è quello in notturna, magari dopo un tramonto esagerato, puntando i volumi dorati e illuminati del castello di Duino. In sintesi, questa è la mia mappa della Costiera. E se qualcuno si sente affascinato o incuriosito dal kayak e dal suo incedere silenzioso tra le onde, da pochi giorni in libreria c’è il mio ultimo libro, “La leggerezza del kayak”, manuale per amare l’acqua salata sedendosi sopra questo guscio dove si impara l’essenzialità dell’andar per mare. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo