Nei versi di Dario Villa la grazia che guarda alla vita

Alberto Cellotto vive a Treviso dove è nato nel 1978. È un autore eclettico, in grado di declinare la lingua ai diversi generi. Alle spalle ha quattro raccolte poetiche, alcune traduzioni, ma suo è anche il romanzo “Abbiamo fatto una grande perdita” (Oedipus Edizioni). È un libro breve, epistolare, alimentato da una voce personale energica e da una scrittura raffinata. Un libro che ha richiamato su di sé l’attenzione della critica nazionale. Si tratta di una serie di lettere scritte ma mai inviate dalla voce narrante, una voce capace di perfetta linearità, in grado di comunicare i nodi emotivi quotidiani: il rapporto con gli amici, l’amore, le donne. L’aspetto più carismatico di questa scrittura è che pur affrontando una realtà ordinaria, tocca punte liriche, di zanzottiana memoria. Un romanzo che rivela anche degli aspetti noir con un omicidio ancora irrisolto, ma la trama ha più snodi, anche con funzioni meta narrative. Per esempio la morte della voce narrante, con le metafore che ne conseguono, oltre a una riflessione sulle nuove modalità di comunicazione e sull’idea di “sublime”. Il suo suggerimento va a un autore in versi: «Chi è il traduttore di “Un uomo solo” di Christopher Isherwood che proprio in questi giorni Adelphi ripropone nei tascabili? Dario Villa, poeta di cui si sente poco parlare. Il consiglio è allora “Tutte le poesie 1971 – 1994” (a cura di Katia Bagnoli), un libro che, con un po’ di fortuna, si riesce ancora a trovare. Di Villa scrisse Giovanni Raboni: “Credo che pochissimi poeti italiani, negli ultimi decenni del secolo appena trascorso, siano stati così costantemente, oserei dire così insistentemente frequentati dalla grazia come l’autore di questo libro: intendo per grazia, qui, la capacità intrinsecamente tecnica, e tuttavia parzialmente inspiegabile di combinare i modi dell’artificio e quelli della naturalezza sino a rendere l’artificio pressoché inavvertibile e la naturalezza esteticamente rilevante”. Quella di Raboni è una buona definizione di grazia poetica, un sufficiente spunto per invitare alla lettura delle sue poesie».
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