Nel Salotto Vienna le sculture “ciccione” di Wurm

All’ex Pescheria l’artista e le sue singolari opere: oggetti ingranditi e volontari trasformati in statue per un minuto
Di Beatrice Fiorentino

Fittissimo il calendario di appuntamenti che riempie il palinsesto di Salotto Vienna, per chiudere la terza delle sette settimane di incontri sulle arti di scena al Salone degli Incanti fino al 14 settembre. Tra gli ospiti più attesi, oggi, alle 21.30, l'attore e ballerino, nonché regista esordiente, Christoph Dostal, che presenterà "In memoriam Bob Curtis", anteprima del suo documentario sul ballerino e coreografo afro-americano. A seguire, alle 22, ci sarà Erwin Wurm, uno dei protagonisti di massimo rilievo del panorama artistico contemporaneo internazionale.

«Amo l'Italia e amo Trieste - ha dichiarato Wurm entusiasta per l'invito - perché per chi arriva dall'Austria è la porta per il vostro paese. Indubbiamente una bellissima città, nella quale sono sempre molto contento di ritornare. E poi sono un grande fan della cucina triestina. È la ragione che mi ha definitivamente convinto a venire a Salotto Vienna, che per fortuna si tiene a Trieste e non a Vienna. Viva Italia!».

Tra le opere più conosciute di Wurm c'è la serie di sculture "ciccione" (Fat): case, villette e automobili in versione over-size, cariche di ironia, a mostrarci la vita quotidiana da una diversa prospettiva. All'estremo opposto, forse qualcuno ricorderà "Narrow House", un modello "ristretto" della sua casa d'infanzia - installata nel giardino di Palazzo Cavalli-Franchetti a Venezia in occasione della Biennale 2011 e ridotta a un sesto della sua dimensione - al cui interno anche gli oggetti di uso quotidiano apparivano miniaturizzati. Ma il suo ciclo di lavori più noto consiste nelle “One Minute Sculptures”, realizzate con il coinvolgimento di spettatori o volontari arruolati con annunci sul giornale, cui viene chiesto di diventare statue per un minuto, relazionandosi in maniera bizzarra con oggetti di uso quotidiano (penne, frutta, mollette per i panni, lattine, detersivi). Quel che rimane di queste temporanee sculture viventi sono le fotografie e i video che Wurm riprende durante l'allestimento. Foto e materiali che saranno presentati e commentati, stasera, nella cornice dell'ex-pescheria.

A precederlo, in ordine di tempo, sarà Christoph Dostal, conosciuto soprattutto come attore di cinema, teatro e televisione, ma presente a Salotto Vienna in veste di regista, con un'anticipazione del suo primo film documentario, a cui lavora alternativamente da nove anni, incentrato sulla figura di Bob Curtis e intitolato provvisoriamente "I dance myself". «Sono particolarmente felice di presentare il mio progetto al pubblico italiano - racconta Dostal - perché Bob Curtis ha passato una gran parte della sua vita in Italia. Nel 1955 si è trasferito a Roma, dov'è rimasto fino al 1990. In questi trentacinque anni ha avuto una grande influenza sulla scena della danza italiana. Ha introdotto nel vostro paese la danza Afro, fondando la leggendaria compagnia Afro-danza assieme a ballerini italiani, e ha poi esteso la sua ispirazione anche all'Europa centrale, non solo con il suo stile innovativo, ma anche con la convinzione che i ballerini bianchi potessero eseguire quel tipo di danza. Diceva sempre: "Non è il colore della pelle che detta il tuo modo di danzare. Ballerini bianchi possono eseguire danze Afro e ballerini neri possono fare danza classica. Quello che puoi imparare dipende solo dalla tua forza di volontà”».

Bob Curtis nasce in schiavitù nel Mississippi, così come suo padre prima di lui. Crebbe lavorando faticosamente nei campi di cotone, senza prospettive, assieme ai suoi diciassette fratelli. Nonostante l’infanzia difficile, riuscì a diventare un'icona della danza e un vero pioniere di interculturalità. «Ho incontrato Bob Curtis a 22 anni - ricorda Dostal -. Appena l'ho visto danzare, ho desiderato diventare un ballerino. Ma non avevo studiato danza e mi sembrava tardi per cominciare. Eppure anche Bob ha cominciato a quell'età e non ha mai smesso fino a 82 anni. Diceva: “Abbiamo solo una vita e non è mai troppo tardi”. Gli voglio dedicare questo tributo per diffondere l'importante eredità che ci ha lasciato».

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