Nella “Breve storia del segnalibro” c’è chi usava le fette di salame
C’è la cosiddetta orecchietta, per chi non si preoccupa molto di stropicciare la pagina del libro. Oppure si utilizza la prima cosa che capita sotto mano: un vecchio biglietto dell’autobus, un post-it, un pezzetto di carta qualsiasi, o forse anche di stoffa, per non parlare dei romantici fiori o foglie essiccate. Oppure c’è il segnalibro vero e proprio, di carta, o di stoffa di plastica o di metallo, insomma un oggetto appositamente creato e adatto a segnare la pagina, o le pagine del libro dove si è «momentaneamente, ma a volte definitivamente interrotta la nostra lettura». È un’azione, quella di usare il segnalibro, cui in genere si fa poco caso, un gesto comune e per qualcuno quotidiano che di solito non fa troppo caso nemmeno all’oggetto d’uso, appunto il segnalibro. Eppure se il libro ha una storia lunga e nobile, dai tempi più antichi fino ad oggi, anche il segnalibro non scherza. Lo racconta Massimo Gatta, bibliofilo e bibliotecario dell’Università degli Studi del Molise, attento studioso di editoria del Novecento nonché di tipografia privata, nel suo agile e delizioso saggio “Breve storia del segnalibro” (Graphe.it, pagg. 61, euro 7). E’ “un elemento filosofico, il segnalibro, prima ancora che materiale - scrive Gatta-, ulteriore tassello della galassia paratestuale che in molti hanno indagato». E la sua è una microstoria della quale però si hanno poche notizie riguardo all’origine: «Anche se non ci sono prove dirette, è difficile pensare che nell’antichità non ci sia stato qualcuno che abbia inserito, nei codici o nei manoscritti, delle strisce di pergamena per segnare un passo da ricordare». Fra i più antichi segnalibri accertati sembra esserci un segnalibro in cuoio, ornato con pergamene, risalente al VI secolo d.C. “attaccato alla copertina di un codice copto”. Da allora il segnalibro di strada ne ha fatta, anche se non è che sia cambiato molto nella forma, fra nastri cuciti sulla parte alta della rilegatura, o strisce di carta o di stoffa, tranne diventare anche veicolo pubblicitario con l’avvento della contemporaneità, a partire dagli anni Trenta del Novecento (Gatta li definisce segnalibri parlanti).
Piccoli o di forma allungata, di carta o simil pergamena, con decorazioni su una o entrambe le facciate, in metallo, plastica, legno, argento, i segnalibri si possono dividere in varie categorie, e soprattutto possono essere fonte di accanito collezionismo. Oggi ai tradizionali segnalibri si aggiungono quelli, elettronici, codificati negli E-book. Già Internet, ci ricorda Gatta, utilizza fra i comandi del programma il termine bookmark, appunto segnalibro. Ma, suggerisce Gatta, vuoi mettere con il segnalibro “materico”?
L’autore traccia un percorso nella storia del segnalibro citando opere d’arte, libri, cataloghi di mostre e raccolte, curiosità. Come quella riportata dal bibliofilo Giuseppe Fumagalli nei suoi “Aneddoti bibliografici”, là dove ricorda che Antonio Magliabechi, “il più sudicio, il più trascurato, il più erudito uomo del suo tempo”, goloso di salumi, adoperava “le fette di salame come segnalibri”. —
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