Olly dipinge “La chitarra blu”

Moderna tragicommedia borghese nel nuovo romanzo di John Banville
Di Pietro Spirito

di PIETRO SPIRITO

«Ogni cosa contrasta l’attrazione del mondo, si sforza di elevarsi ma è costretta a terra». Oliver Otway Orme, Olly per tutti, è un pittore di certa fama che ha ormai perso ogni ispirazione. È un uomo costretto a terra, un ladro di cose, vite e sentimenti che osserva la sua esistenza andare in pezzi, un inetto sveviano all’ennesima potenza in cui si specchia il fallimento di ogni amore. John Banville, uno dei più grandi scrittori viventi, torna alle atmosfere dei suoi romanzi più disperatamente fulgidi, come “Il mare” (Booker Prize nel 2005), e nel nuovo, bellissimo, “La chitarra blu” (Guanda, pagg. 284, Euro 18,00, traduzione di Irene Abigail Piccinini) mette in campo in un lungo, appassionante monologo, uno dei suoi personaggi più riusciti, un uomo «incompiuto, un sacco pieno di dolore, rimpianto e senso di colpa», che rinverdisce il genere della tragicommedia borghese in pagine di una prosa avvolgente e infallibile.

Dunque Olly è questo: un pittore che ha smesso di dipingere, uno di quegli uomini dediti all’opera sublime di distruggere la propria vita, e che esprime la sua psiche sbrindellata in un’antica, coltivata cleptomania. Olly ruba piccoli oggetti, tutto quello che gli capita a tiro, a volte senza nemmeno pensarci, sin da quando era bambino. Lo fa perché in fondo rubare «era un tentativo di aprirsi un varco nelle superficie, di strappare via frammenti dal muro del mondo e accostare l’occhio ai buchi per vedere che cosa si nascondesse dietro». Finché, di furto in furto, arriverà a rubare la moglie del suo migliore amico, Polly, precipitando con lei in un vortice passionale senza uscita. Il racconto ruota intorno ai rapporti del quartetto di amici: Oliver con la moglie Gloria e Polly con il marito Marcus, quest’ultimo orologiaio dal carattere schivo e sensibile. Quattro amici da picnic e cene allegre, finché tra Olly e Polly scatta la passione clandestina. Sullo sfondo, un antico dolore, portato da Oliver come un enigma irrisolvibile, e il peso dell’ennesimo senso di colpa: la morte di sua figlia ad appena tre anni di età per una malattia che non lasciava scampo. Un dolore che la moglie Gloria non gli perdonerà, forse perché, mentre la piccola moriva in ospedale, Olly era a letto con l’ennesima amante occasionale. In quanto a Polly, «non è una grande bellezza»: «è formosa, ha i fianchi floridi - pensa alla bella metà inferiore, tondeggiante di un violoncello per bambini - con un viso a cuore, regolare, e capelli castani un po’ ribelli». Bella o meno, Oliver se ne impossessa con la stessa voracità con cui galoppa nella vita e nell’arte: «Un boa constrictor, ecco cos’ero, un’enorme bocca spalancata che ingoiava lentamente, che cercava lentamente di ingoiare, soffocandosi in quell’enormità. Dipingere, come rubare, era un infinito sforzo di possesso, che fallivo all’infinito. Rubare beni altrui, imbrattare scene su tela, amare Polly: tutta la stessa cosa, alla fin fine».

E poi, come in ogni tragicommedia che si rispetti, scoppia il bubbone. Marcus capisce che Polly ha un’amante, ma non sa chi è, e corre a chiedere aiuto proprio a Oliver. Polly intanto lascia Marcus e corre anche lei da Oliver per coronare il suo amore. Ma Oliver, pur di non affrontare la responsabilità del disastro che gli si para davanti naturalmente scappa, si nascond. e nella casa dell’infanzia, e nel suo studio impolverato, dove presto sarà stanato da Gloria. Il suo amore per Polly si sgonfia di colpo: «Quello che vidi, con frastornante chiarezza, fu che la donna non esiste. La donna, mi resi conto, è materia di leggenda, un fantasma che si aggira per il mondo, fermandosi qui e là su questa o quell’ignara femmina mortale, trasformandola, brevemente ma in modo memorabile, in un oggetto di desiderio, venerazione e terrore». L’epilogo, va da sè, sarà segnato dalla tragedia, e a pagare alla fine sarà il povero e incolpevole Marcus.

In quanto a lui, l’impenitente, meschino, pavido e fragile Oliver rimane il grande non-eroe di questa farsa filosofica: perché sempre «il mondo oppone resistenza, vive dandoci le spalle, in felice comunione con se stesso. Il mondo non ci fa entrare».

@p_spirito

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo