Oltre tre milioni per la fiction triestina

TRIESTE. L’attesa era alle stelle sin dalla messa in onda del trailer, dove s'indovinavano intriganti tracce di noir e di fantasy disseminate in un'ipnotica Trieste notturna. E finalmente, mercoledì sera, il debutto: un centro pieno per la fiction “La Porta Rossa” su Rai2, che si è aggiudicata il prime time con 3.284.000 spettatori e uno share del 13%, sbaragliando i film avversari e lasciandosi dietro Sciarelli, Iene e fiction di Canale5. Inutile dire che il livello d'attenzione era al top dalle nostre parti, trattandosi di un prodotto in larga parte made in Trieste, girato con l'ausilio di maestranze tecniche e artistiche locali e che della città si proponeva di restituire una nuova immagine archiviandone quella classica da cartolina.
Le prime due puntate del thriller sovrannaturale diretto da Carmine Elia entrano nel vivo a propulsione, mettendo subito in campo l'idea cardine della serie: il protagonista è un fantasma, che da vivo era un commissario di polizia "testa calda", in crisi con la moglie, e da morto veglierà sulla consorte in pericolo cercando di capire chi l'ha fatto fuori.
Gli episodi iniziali mantengono le promesse a metà: se è la carta del soprannaturale ad essere subito calata, molto sa tremendamente di déjà vu. Il plot reca una firma prestigiosa com'è quella del giallista Carlo Lucarelli coadiuvato da Giampiero Rigosi, Sofia Assirelli e Michele Cogo. Otto mani per confezionare un gioco che, almeno sul grande schermo, conosciamo bene: alla creatura ectoplasmatica che “guida” le indagini per far scoprire il proprio assassino ci han già pensato maestri del fantastico come Guillermo del Toro, Robert Zemeckis, Peter Jackson, senza contare l'ovvio capostipite “Ghost”, che qui ritorna nell'idea di un personaggio sensitivo interprete dei pensieri di chi non c'è più.
Niente di nuovo sotto il sole, come soggetto di partenza, anche se la variante Lucarelli è di rendere l'entità protagonista, offrendo una prospettiva diversa e più stratificata. Fantasia in soffitta e scrittura, almeno sin qui, da minimo sindacale anche nello sviluppo in sceneggiatura di dialoghi e situazioni che inventano poco e si limitano a rimaneggiare, sfociando in situazioni telefonate o dove i conti non tornano, sfiorando il ridicolo involontario (il protagonista che rischiando la vita apostrofa il nemico con un “Fine corsa messicano!” stile western). La regia traduce in una grammatica elementare fatta di flashback con effetto flou come non si vedevano da decenni, frammenti che raccontano il bel tempo che fu della coppia e inseriscono l'elemento romantico nella tessitura crime.
Un certo gusto dell'inquadratura, però, a Elia non lo si può negare, e lo confermano tra i punti di forza del prodotto: anche se con uso di panoramiche a profusione la città ne esce maestosa e avvolgente, di una bellezza misteriosa, suggestiva negli spazi aperti ma di notevole respiro anche negli interni. Elia confeziona nella caccia al “messicano” tra le arcate diroccate del Porto Vecchio una delle sequenze più riuscite, alternando accenti cromatici di luci gialle e freddi blu annegandoli nel verde del terrazzamento dove si consumerà il tragico epilogo. Quanto agli interpreti, Guanciale meglio della statica e monocorde Pession; ancora da capire la Vanessa di Valentina Romani. Narrativamente a livello d'indagine non c'è ancora niente: ciò che abbiamo visto ruota piuttosto attorno all'elaborazione del lutto. In questo “La Porta Rossa” lascia ancor più a bocca asciutta, lontana dal creare vere inquietudini e offrire letture anche complesse, come fa ad esempio la serie francese “Les Revenants”, che il tema universale del rapporto con la morte poteva offrire.
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