Paola Calvetti e le rivali «Quando Coco Chanel dette fuoco alla Schiap»

La scrittrice e giornalista oggi in Sala Luttazzi alle 11 preceduta dalla giallista di Gemona Ilaria Tuti
Elena Commessatti

l’intervista



«Schiaparelli? Ah! Quell’artista italiana che fa vestiti…». Sono le parole di Mademoiselle Coco Chanel, nota per il gelido distacco. «Chanel è una noiosa piccolo-borghese specializzata in cimiteri», le fa eco un’eccentrica Elsa Schiaparelli, soprannominata “Schiap”. Un duo di donne eccezionali e eccezionalmente rivali. Due stiliste imprenditrici che hanno cambiato il modo di vestire la donna nel Novecento.

Oggi, alle 11, per la prima edizione di “Un Week End d’autore”, arriva al Magazzino 26, in Sala Luttazzi, Paola Calvetti con “Le rivali. Dieci donne di talento che hanno cambiato la Storia”, (Mondadori, 26 euro, pp.282), brillante reportage di costume e verità sulla vita intrecciata d’odio e maldicenze – e silenziosa ammirazione – di cinque coppie di avversarie che hanno lasciato il segno. Sarah Bernhardt e Eleonora Duse, Coco Chanel e Elsa Schiaparelli, Helena Rubistein e Elisabeth Arden, Hedda Hopper e Louella Parsons, Olivia de Havilland e Joan Fontaine. L’incontro sarà preceduto, alle 10, da quello con la giallista Ilaria Tuti e il suo “Figlia della cenere” (Longanesi).

Paola Calvetti, lei è scrittrice e giornalista. Qual è l’origine di questo accurato lavoro, che mescola i generi?

«L’idea nasce tre anni fa. Sono abituata a cercare un punto di vista con le mie storie. Con la biografia della regina Elisabetta II, ho fatto mio il punto di vista dei numerosi fotografi che negli anni l’hanno immortalata. Con questo nuovo libro ho pensato fosse arrivato il tempo di dedicarmi alla rivalità femminile».

Perché quella maschile non c’è?

«Certo, ma di libri sugli imprenditori nemici ce ne sono tanti. Invece sulle donne mancavano. E poi non mi interessava la rivalità amorosa, tema complesso da sostenere, e ambiguo. Io cercavo le pioniere, e il punto di vista è quello dell’antagonismo professionale. Mi sembrava un inizio interessante su cui investigare. Sono dieci donne capacissime che hanno rivoluzionato nel loro campo il mondo di interpretare il lavoro».

C’è una coppia che le è congeniale?

«Mi sono divertita a raccontare la rivalità tra Hedda Hopper e Louella Parsons, note penne del ricco glam hollywoodiano, forse perché sono giornaliste. E il loro scambio di battute al vetriolo è perfido, sagace. Lo definerei: irresistibile».

E la coppia più tragica?

«Non c’è dubbio. Sono le sorelle: Joan Fontaine e Olivia De Havilland. Pensate a cosa riuscì a dire la Fontaine nei confronti della mitica sorella, la Melania di Via Col Vento: “Sono stata la prima a sposarmi, la prima a vincere l’Oscar, la prima a diventare madre. Se mi toccasse di morire per prima, l’avrò battuta anche in quello”. Nella loro rivalità ci leggi una grandissima sofferenza. È stato difficile occuparmi di loro, proprio perché più entravo dentro le fonti, più mi rendevo conto della fatica delle loro vite».

Domanda da archivista: quanta fatica costa un lavoro editoriale come questo?

«Molta. Le biografie a riguardo non sono in italiano, le riviste innumerevoli. Le informazioni anche; e io scegliendo il punto di vista anche della giornalista avevo bisogno di fonti autorevoli ed esaustive».

C’è una notizia che vince sulle altre?

«Quanti sanno che in un afoso luglio del 1939, al “Ballo della foresta’”dentro la villa del fotografo di Vogue André Durst, Coco balla con Schiap, che è vestita da quercia surrealista? E cosa fa l’algida seduttrice francese, tenendo per mano l’eccentrica rivale italiana? La spinge, la spinge con grazia. E dove? Verso il candelabro… e la “corteccia” di Elsa prende fuoco! Autorevoli testimoni hanno felicemente raccontato che il fuoco fu estinto con spruzzate di soda. Naturale vincere il premio di miglior gossip dell’anno».

Cosa ha scoperto dopo la stesura?

«C’è una sorta di filo rosso che le accomuna. Ad esempio l’infanzia difficile. E poi tutte e dieci vivono una passione viscerale per il proprio lavoro. Anche a costo di perdere momenti d’affetto, che forse le avrebbero rese più empatiche certo, ma meno dive» —.

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