Paola Sambo sta con gli “Stranieri” l’attrice muggesana di scena a Roma

All’Argot Studio lo spettacolo di Antonio Tarantino sul tema della paura e del diverso diretto da Gianluca Merolli. «Interpreto una mamma molto dura»



Una donna semplice, diretta, con un vago accento triestino per sottolineare un carattere in parte inaccessibile e selvatico. Paola Sambo, attrice muggesana da anni impegnata in teatro, televisione e cinema, è in scena a Roma fino a domenica nello spettacolo "Stranieri" per la regia di Gianluca Merolli al teatro Argot Studio. Il testo di Antonio Tarantino era stato commissionato per il Premio Candoni ed era andato in scena nel 2000 prodotto dal Css di Udine con un'altra attrice locale, l'indimenticata Lidia Koslovich. Tarantino parla di famiglia, di rapporti difficili e non risolti, ma anche della paura del diverso e dello straniero e sembra voler dire che procedendo con i preconcetti non si riesce mai a conoscere l'altro. «Lo spettacolo è complesso - racconta Paola Sambo - anche tecnicamente è impegnativo, ci sono scene che richiedono molte prove, come quella in cui piove». I personaggi sono tre: un uomo senza nome che vive da solo, isolato dal mondo, un misantropo che sproloquia contro tutto e tutti, specialmente contro chi la pensa in maniera differente o crede in valori a lui lontani. Alla sua porta bussano una donna e un ragazzo ma lui si ostina a non aprire: sostiene di non avere paura di nessuno e si rifugia tra le sue cose e le sue certezze ma in realtà è fragilissimo e chi lo viene a cercare lo spaventa enormemente. «La storia - continua l'attrice - parla di una famiglia i cui componenti non si sono mai davvero conosciuti tra di loro. Io interpreto una madre che ha col figlio un rapporto commovente e realistico: a momenti di tenerezza alterna momenti di durezza perché il ragazzo non corrisponde sempre alle sue aspettative. Per costruire il personaggio mi sono affidata al regista Gianluca Merolli che mi ha fatto abbattere certe vecchie barriere affinché diventassi più intima e più semplice. La mia è una donna molto dura che a tratti, però, sa anche ascoltare. Ho lavorato sulla mia parte triestina e porto in scena un lato quasi selvatico, impenetrabile, che secondo me appartiene alla nostra città e alle sue donne».

Una drammaturgia cinica e spietata in cui i monologhi deliranti del protagonista sono incalzati dai due personaggi che premono per entrare: la moglie e il figlio dell'uomo, terrorizzato dalla fine, tornano da un passato che sembrava dimenticato per una resa dei conti terribile e fatale. Gianluca Merolli, interprete dello spettacolo oltre che regista, scrive nelle sue note: «Erede di una lezione che affonda le radici in Borges e Bernhard, Tarantino tratta il tema tanto attuale della mistificazione dell’altro senza alcuna retorica, prendendo le distanze da qualunque incasellamento temporale. Egli pone l’attenzione su piccole dinamiche famigliari, fatterelli di vicinato, bollette e piccole assenze utilizzando un linguaggio sgrammaticato che alterna inflessioni dialettali non sempre riconoscibili». —

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