“Piccolo corpo” e “Brotherhood” film dalla regione verso il mondo

Da San Vito al Tagliamento alla conquista dei festival più importanti del mondo: si potrebbe riassumere così l’avventura di Nefertiti Film, la casa di produzione friulana fondata nel 2013 da Nadia Trevisan e dal regista Alberto Fasulo, coppia nella vita e nel cinema. Sono mesi di risultati eccezionali: oggi l’ultimo lavoro coprodotto da Nefertiti, il documentario “Brotherhood” di Francesco Montagner, verrà presentato al Festival di Locarno, nella sezione Cineasti del Presente. Il film precedente “Piccolo corpo”, l'esordio alla regia della triestina Laura Samani, è stato invece applaudito qualche settimana fa al Festival di Cannes e sta per volare in Canada al Toronto Film Festival. Un successo, quello di Nefertiti, che non è arrivato per caso e che parla di un lavoro coerente e instancabile sul cinema d’autore e di qualità, con un occhio ai nuovi talenti, in un rapporto strettissimo con la regione e i territori contigui.
“Brotherhood”, per esempio, segue la storia vera di tre giovani fratelli bosniaci cresciuti all’ombra di un padre predicatore, islamista severo e radicale. Quando l’uomo viene condannato per terrorismo, i tre fratelli hanno improvvisamente la possibilità di sperimentare un percorso di crescita libero, ma non sempre facile. Il primo contatto di Nefertiti con il film è avvenuto proprio a Trieste a When East Meets West, il più importante mercato italiano di coproduzioni dedicato all’Europa centro-orientale.
«Nonostante il regista Francesco Montagner sia trevigiano, quindi un vicino di casa, ci siamo conosciuti a Trieste, e il documentario è girato in Bosnia Erzegovina», racconta Nadia Trevisan. «La produzione maggioritaria era della Repubblica Ceca, così abbiamo provato a finanziarlo anche in Italia partendo proprio dal Fondo regionale per l’Audiovisivo».
Il sistema cinema regionale allora funziona? «Moltissimo - risponde Trevisan -. Io sono orgogliosa di vivere e lavorare qui. Abbiamo una eccezionale Film Commission e il Fondo è fondamentale perché punta allo sviluppo delle realtà produttive regionali e delle persone al loro interno: così si crea azienda nel settore».
Anche “Piccolo corpo”, un film ambientato all’inizio del ‘900, in costume, fra zone della regione anche molto distanti fra loro, è stata una sfida. «Abbiamo girato tra gli stavoli di Orias e al Santuario di Ovaro, poi ancora nel tarvisiano alle cave del Predil», ricorda Trevisan. «La difficoltà maggiore è che ci siamo interrotti due volte per il Covid, prima col lockdown di marzo 2020 e poi, alla ripresa in autunno, per un caso di positività sul set».
Nonostante gli ostacoli, “Piccolo corpo” è un’opera prima sorprendente, amata anche in ambito internazionale: «Ci dicono che i paesaggi sono strepitosi. Il Friuli è un territorio dalle tante possibilità narrative e ancora poco conosciuto».
Il legame con la regione è al cuore del lavoro di Nefertiti. «Abbiamo scelto fin da subito di non stare a Roma», dice Trevisan, che è diventata produttrice dopo una laurea in psicologia e otto anni nelle risorse umane. Ma una casa di produzione indipendente orientata al cinema d’autore, di lunga realizzazione, deve trovare prima di tutto una sua formula per sopravvivere finanziariamente. «All’inizio abbiamo lavorato sui film di Alberto, come “Tir” e “Menocchio”, che portano storie locali a livello globale. Poi abbiamo aperto a nuovi registi, con i quali è importante scegliersi reciprocamente. Quello di Nefertiti Film è uno stile del Friuli Venezia Giulia, prima di tutto orientato alle persone. Nella nostra regione sembriamo chiusi ma, quando ci apriamo, diamo il cuore». —
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