Pupi Avati: «Il diavolo è a Grado»

Il regista girerà quest’estate un horror in laguna

TRIESTE. Pupi Avati girerà il suo prossimo film a Grado: il regista sarà in regione quest'estate per le riprese di "Il signor Diavolo", tratto dal suo omonimo libro in pubblicazione per Guanda. E domani arriverà a Trieste per un altro appuntamento speciale: un laboratorio intensivo di due giorni di tecniche di recitazione per il cinema, organizzato al Teatro dei Fabbri da CS Cinema in collaborazione con Teatro La Contrada, LS Eventi, Archivio del Cinema Onlus e Galaxia Casting. Il regista intanto racconta in anteprima "Il signor Diavolo", che promette di tornare alle atmosfere tenebrose degli inizi del suo cinema, da "Balsamus - L'uomo di Satana" a "La casa dalle finestre che ridono": «Sarà un film gotico, abbastanza pauroso sulle credenze, i riti e la parte esoterica della cultura contadina».

Qual è la storia di "Il signor diavolo"?

«Siamo negli anni '50, a ridosso dell'alluvione del Polesine. I protagonisti sono due ragazzini quattordicenni che vivono ancora un tipo di religiosità ancestrale, preconciliare: attorno a loro tutto è sacro e tutto è peccato, c'è ancora il senso dell'inferno, la paura del diavolo. Uno dei due muore di malaria, ma la gente si convince che sia perché ha fatto cadere l'ostia durante la prima comunione e l'ha pestata. L'altro non si rassegna di aver perso l'amico del cuore e fa di tutto per contattare un essere deforme che si pensa abbia rapporti col demonio».

Perché nei suoi film c'è da sempre il fascino del sacro e dell'occulto?

«È il mondo nel quale sono cresciuto: i primi cinque anni della mia vita li ho trascorsi da sfollato in una campagna terribile e meravigliosa, piena di misteri e favole contadine».

Perché ha scelto la laguna di Grado?

«È difficile trovare luoghi che siano ancora capaci di contenere questo tipo di cultura, di suggestione. Molti luoghi dell'Emilia con l'industrializzazione sono mutati. Allora abbiamo pensato di salire un po' più a nord, e in più sono molto contento di lavorare con la Friuli Venezia Giulia Film Commission».

Cos'è un bravo attore per Pupi Avati?

«Attori non si diventa, ma si è. La mia masterclass serve soprattutto a far capire ai ragazzi, senza che sia io a doverlo dire, se c'è davvero un talento, se vale la pena che investano risorse, energia e sacrifici per proseguire sulla strada della recitazione. Io stesso da ragazzo mi sono illuso di poter diventare una grande musicista fino a quando mi sono accorto che il mio talento non era sufficiente. È stato un grande dolore, lenito dal cinema».

Ci sono attori nati che ha riconosciuto al primo sguardo?

«Molti, per esempio Mariangela Melato: faceva la vetrinista alla Rinascente a Milano, debuttò con me in "Thomas… gli indemoniati". Dalla prima battuta ho percepito una verità assoluta. Oppure Stefano Accorsi, che ha esordito con me in America in "Fratelli e sorelle", ma anche Katia Ricciarelli in "La seconda notte di nozze". E Diego Abatantuono: "Regalo di Natale" è stato il suo primo film recitato con il suo tono di voce naturale dopo quelli in dialetto pugliese».

Il suo romanzo precedente "Il ragazzo in soffitta" è ambientato anche a Trieste: lo vedremo mai al cinema?

«Avrebbe dovuto diventare un film, ma poi non me l'hanno più fatto fare. Il cinema italiano è allo sbando, non sa dove guardare: a Pasqua ha incassato in quattro giorni quello che un tempo incassava in uno. La cosa incredibile è che ora vanno malissimo al box office anche i film che vogliono essere solo commerciali. Bisognerebbe che riprendessimo il cinema di genere, che gli americani non hanno mai lasciato».

Però ha pronto un film che andrà in onda in tv sulla Rai…

«S'intitola "Il fulgore di Dony" sulla storia d'amore fra un ragazzo bellissimo che, dopo un incidente, rischia la demenza, e una ragazzina che trova un senso alla sua vita amandolo. È un film sugli ultimi, ai quali riserviamo sempre così poca attenzione, che siano profughi o meno».

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