Quand’eravamo tutti “Foresti” figli del Nordest

Sono veri i ricordi delle madri, delle nonne? Sono veri i nostri ricordi personali? Domande importanti, perchè solo su di essi, sui ricordi, possiamo in fondo far conto, quando ricostruiamo le nostre...
Di Carlo Muscatello

Sono veri i ricordi delle madri, delle nonne? Sono veri i nostri ricordi personali? Domande importanti, perchè solo su di essi, sui ricordi, possiamo in fondo far conto, quando ricostruiamo le nostre storie familiari. Ce lo ricorda Silvia Zetto Cassano, il cui libro “Foresti” (Comunicarte Edizioni, euro 19) è uscito in occasione del Giorno del Ricordo.

L’autrice, nata nel 1945 a Capodistria («in una zona - dice - zona B, un posto in sospeso, non più Italia, non ancora Jugoslavia...»), dove rimase soltanto per i primi dieci anni della sua vita, prima di trasferirsi a Trieste, racconta la storia di cinque donne: la sua e quelle di altre quattro, tutte ambientate in Istria, in quella penisola nel Nord dell’Adriatico che dal 1955 - anno in cui si interrompe la narrazione, perchè le ultime tre di quelle cinque donne abbandonano le terre natie - perde anche la seconda “i” del nome, diventando sulle carte geografiche “Istra”.

Il libro è «un intreccio di fili, un groviglio di vite legate le une alle altre, di identità multiple che se ne stettero buione finchè non vennero avvilite...». In un piccolo mondo antico dove la gente viveva in pace, prima che la storia si ricordasse di quelle terre. Un universo popolato da persone semplici: contadini e pescatori, serve e sartine, impiegati asburgici costretti a diventare soldati. E ancora “fioi de nissun”, uomini che sposano donne “foreste”, donne venute a volte da lontano che cercano l’amore e invece trovano soltanto un marito.

E infine uomini che sanno da che parte stare quand’è il momento di scegliere, uomini che non lo sanno e si spezzano, non riuscendo a reggere gli urti troppo violenti delle guerre. Al loro fianco, tante donne che invece quegli urti li sanno, li devono reggere, e allora procedono coraggiose finché hanno forza nella loro lotta per la sopravvivenza che poi è anche l’ostinata ricerca della felicità per loro e per i propri figli.

C’è poi quel “Foresti” del titolo, che deriva ovviamente da forestieri: termine frequente un tempo nel Nordest, poi caduto in desuetudine e ormai usato soltanto dai più anziani. Dire foresti, dire “quei là” era uno dei modi per ribadire il “noi”, per escludere gli intrusi, per marcare limiti non oltrepassabili. Parole che esistono in ogni parte del mondo dove i confini sono stati “ballerini”, zone di blocchi, sbarramenti e check-poi, di alt, chi sei, torna da dove sei venuto, non vi vogliamo, andatevene. Oggi come allora termini per gente venuta da fuori, quasi degli intrusi nelle proprie terre, un modo per marcare e rimarcare confini che allora erano rigidi e oggi rischiano di tornare tali.

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