Quando Joyce scriveva dell’Irlanda sul Piccolo della sera

Tra le penne illustri che scrissero per questo storico quotidiano, fondato da Teodoro Mayer nel 1881, vi fu anche, nei primi anni del Novecento, lo scrittore irlandese James Joyce. Non fu un collaboratore assiduo, in tutto tra il 1907 e il 1912 pubblicò nove articoli incentrati sull’Irlanda per il Piccolo della sera. Ma la sua breve esperienza giornalistica gli rimase probabilmente nel cuore, tanto che decise di ambientare l’episodio numero sette dell’Ulisse, che s’intitola “Eolo il dio del vento”, nella redazione di un giornale, il dublinese Freeman's Journal.
È nato da questa doppia suggestione il primo appuntamento della nona edizione di “Bloomsday”, il festival triestino dedicato a James Joyce inaugurato ieri e che proseguirà fino a domenica con una trentina d’appuntamenti tra conferenze, letture e spettacoli.
Per dar nome a questo primo incontro, dedicato all’approfondimento dell’attività giornalistica di Joyce, è stato ideato un gioco di parole tutto joyciano, che richiama il titolo dell’episodio numero sette dell’Ulisse travestendo il dio del vento in chiave dialettale triestina: “E(c)olo. Quando Joyce scriveva per Il Piccolo”.
Ieri insieme a Renzo Crivelli, uno dei massimi esperti joyciani, al direttore del “Piccolo” Enzo D’Antona e al giornalista e fotografo Claudio Erné si è ricostruito l’ambiente giornalistico del tempo, ripescando figure professionali e strumenti ormai dimenticati, appartenenti al tempo in cui i quotidiani venivano ancora stampati in modo tradizionale. Come ad esempio la figura del proto, il tipografo che sovrintendeva ai lavori di composizione, all’epoca in cui i giornali si costruivano ancora attraverso matrici e caratteri in piombo. O la linotype, che, ricorda Claudio Ernè, inventata nel 1881 fu la prima macchina tipografica in grado di comporre e giustificare automaticamente le linee di caratteri dei testi. «Al Piccolo ce n'erano almeno 12 – ricorda Ernè – e con il loro fuoco per fondere il piombo portavano la sala tipografica a temperature elevatissime: l'ambiente odorava di piombo, era caldo e insalubre».
«Se si era scrittori, poeti o giornalisti non si poteva non imboccare la strada del Piccolo, che era come oggi un'agenzia culturale sul territorio – ha detto D'Antona -. A introdurre Joyce al giornale fu probabilmente Italo Svevo, che all'epoca come Umberto Saba collaborava con il quotidiano».
Ma come mai il quotidiano di Trieste decise di ospitare articoli che parlavano della situazione politica irlandese? «Perché eravamo in piena epoca irredentista e il direttore del giornale Teodoro Mayer vedeva in filigrana un parallelismo tra la situazione irlandese e quella triestina - spiega Crivelli -: l’Irlanda oppressa dall’Impero britannico era un po’ come Trieste sotto l’Impero asburgico. Parlare della condizione irlandese era come discutere di quella triestina, senza però incorrere nel rischio di censura».
L’incontro è stato arricchito dagli interventi dei professori Laura Pelaschiar e Paolo Quazzolo, che hanno letto alcuni passi di “Eolo”, e di Riccardo Cepach. Sul settimo episodio del romanzo joyciano il festival ritornerà anche oggi, con due appuntamenti mattutini al Museo Sartorio: alle 10 ci sarà la conferenza “Un mondo di… fogli” di Giulio Giorello (Università di Milano), quindi un incontro con Renzo Crivelli dal titolo “Ulysses for dummies – Ulisse per principianti: Eolo. Il giornale”. E sarà dedicato a Eolo anche lo spettacolo teatrale di Giuliano Zannier in programma alle 18.30 sotto i portici della loggia comunale di Piazza Unità e la mostra, con inaugurazione alle 19, di Annalisa Metus in Sala Veruda.
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