Quando la Trieste bohémienne radunava gli artisti al Re di Coppe

Patròn Mario Vellich, scomparso di recente alla soglia dei cent’anni, nel locale di via della Geppa accoglieva Mascherini, Righi, Dequel, Chersicla, Cernigoj



Come nei romanzi esistenzialisti, il fumo delle sigarette avvolgeva tutto il locale. Ma, a Trieste, in via della Geppa 11, al mitico “Re di Coppe”, questo si mischiava al denso vapore che saliva dagli enormi pentoloni che dalla cucina a vista esalavano i meravigliosi profumi delle ricette tipiche triestine e mitteleuropee: goulasch, jota, trippe, patate in tecia, prosciutto cotto caldo con senape e kren e le superbe polpette di Carmela, la sorella del patron Mario Vellich, oste gentiluomo, istriano d’origine, classe 1921.

Scomparso di recente alla soglia dei cent’anni, aveva gestito la trattoria, che fu una sorta di libero porto di mare per artisti, scrittori, intellettuali, musicisti, politici e manager dagli anni Settanta fino a trent’anni fa, quando andò in pensione, passando ad altri la gestione, ultimo l’albanese Dimitri, che oggi conduce il Buffet Re di Coppe in via Giulia.

Ai tavoli sedeva allora la Trieste – città in quegli anni in ascesa - scanzonata e mordace, colta e bohémienne: dagli artisti Sormani, Dequel, Righi, Carà, Mascherini, Chersicla, Coloni, Vranich, Cernigoj Cassetti, Pisani, Milia, Ferfoglia, Cerne, al friulano Ceschia, al critico Garibaldo Marussi, al poeta Sambo, al compositore Donati, a Guido Botteri, direttore della sede Rai Fvg, a Franco Basaglia, Claudio Boniciolli, presidente dei Porti di Venezia e Trieste, Enzo Martona, presidente della Provincia, a giornalisti di testate slovene. «Un centro apicale della bohéme e di certa avanguardia artistica triestina» ricorda l’avvocato Sergio Pacor, allora assessore alla Cultura del Comune e oggi direttore della Sezione Arti Visive del Circolo della Cultura e delle Arti di Trieste.

Le pareti erano tappezzate di opere dei migliori artisti, triestini e non, dell’epoca. Tra questi “imperava” Livio Rosignano, che aveva lo studio in una romantica e luminosa mansarda nel palazzo di fronte e si era eletto art director di questo singolare approdo di cultura e di bien vivre, dove era esposto anche un suo grande dipinto, intitolato “Amici”. E nessuno, neppure Vellich – come ricorda il pittore, scultore e caricaturista Paolo Marani - poteva appendere alle pareti le proprie opere senza il suo beneplacito.

Il Re di Coppe era ricco di appeal fin dall’esterno. Vi si accedeva infatti attraverso una porta di ferro battuto, in tema con il nome della trattoria, dello scultore Bruno Alzetta, che per l’interno aveva creato un grande lampadario a forma di cavallo, varie applique e un’originale catena per il water, arricchita da soli e altri pendagli, che però pesavano molto; così spesso lo sciacquone si attivava da solo con grande fragore, che, udito perfettamente in sala, provocava risate e lazzi.

In perfetto stile bohémien, quando vendeva un quadro, Rosignano offriva da bere a tutti e poi finiva la serata al night e così – ricorda ancora Pacor, il suo migliore amico e più importante collezionista - il giorno dopo ben poco rimaneva del lauto guadagno. A volte poi Livio faceva i ritratti a tutti e li donava ai presenti mentre il colto Vellich organizzava spesso anche eventi e serate di qualità come la settimana francese, in cui ogni vino e pietanza veniva presentato da esperti.

Oggi la porta non c’è più, gli oggetti d’arredo di Alzetta sono nel ristorante di via Giulia e “sior Mario”, il sommelier dagli occhi chiari che serviva ai tavoli con leggerezza e discrezione, non lesinando mai un sorriso, se n’è andato. Un personaggio benevolente e profondamente ospitale, generoso e un po’ mecenate, che nel tempo era divenuto collezionista. Ed è scomparsa anche la sorella, che in cucina imperava e, piccola e minuta, esercitava anche nei confronti del fratello la funzione primaria del matriarcato, tipica dell’elemento muliebre triestino.

La bohéme di quegli anni, in fondo recenti, oggi non abita più qui né altrove: al suo posto, in via della Geppa, c’è “Salsapariglia”, un ristorantino condotto dalla designer Mariaeugenia e dallo chef Marco Pappalardo, gastronomo colto, che hanno rispettato nel restauro conservativo i “sacri” spazi del Re di Coppe e un po’ del suo romantico, irripetibile genius loci. —



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