Quando l’amore fa i conti con la realtà sono sempre dolori, scelte e rinunce

di ANTONIO CALABRÒ
Possono essere banali, le cronache delle storie d'amore. Un incontro, un'illusione, un inganno, un addio. Felicità. E dolore. Ne sono piene le canzonette. Ma anche la letteratura. L'amore è appunto un racconto. Tutto dipende da come si usano le parole per dirlo.
Prendiamo le pagine di "Dolore" di Zeruya Shalev (Feltrinelli): dolore che schiaccia, ma riporta alla vita, rende consapevoli. E salva. Nella cornice attuale d'Israele tra guerre e terrorismo, al centro c'è Iris, 45 anni, donna di successo (è una delle migliori e più innovative direttrici scolastiche di Gerusalemme) e madre di famiglia carica di problemi. Un giorno, per un incrocio di coincidenze, ripiomba in pieno, doppio dolore: quello dei postumi d'un attentato in cui, dieci anni prima, era rimasta gravemente ferita e quello dell'anima, nel ricordo d'un amore adolescenziale bruscamente, crudelmente interrotto.
Ed ecco che mentre è lì, in clinica, cercando una cura per il dolore fisico, ricompare, con il camice bianco del "medico del dolore", proprio Eitan, l'amore d'un tempo, che l'aveva ferita e annichilita. Si può ricominciare, ad amare? E dirsi insieme parole così: «Noi siamo una coppia sin dall'inizio del mondo, come la sabbia e il mare, come il lampo e il tuono, la nuvola e la pioggia, la freccia e l'arco, come la voce e l'eco»?
Le attese, i tentativi di recupero, l'ansia della riconquista e del risarcimento. Ma anche il dover fare i conti taglienti con la realtà. Perchè proprio in quel momento Iris deve fronteggiare l'attualità delle responsabilità di storia, lavoro, una figlia, una vita densa di sfide. Con Eitan, l'amore ritrovato? O senza, negandosi nuovamente una felicità innamorata? Ogni scelta, è dolore. E merita risposte amorose. E di dignità.
C'è ancora Gerusalemme, come sfondo de "La comparsa" di Abraham Yehoshua (Einaudi). Noga, la protagonista, è un'arpista, in un'orchestra di Arnheim, in Olanda. E viene richiamata in Israele per complicati motivi familiari. Niente musica, per tre mesi. E il ripiombare nell'obbligo di fare i conti con la realtà: la vecchia madre, le radici ebraiche, i contrasti tra Gerusalemme antica e sacra e Tel Aviv moderna e laica, la femminilità, un marito da cui ha divorziato perché non voleva figli. Dolori dell'abbandono. Insidie dei ricordi. Amori forse mai finiti. Il tempo ingannato facendo temporaneamente la comparsa per cinema e tv (ecco il titolo, come metafora dell'entrare provvisoriamente in altri panni e altre vite). E un ritorno: alla musica. Suonando "La mer" di quel genio inquieto e amoroso di Debussy. Si dice nello stesso modo, in francese, "il mare" e "la madre". "Io ti suonerò", sussurra Noga alla madre, prima di ripartire in tournée con la sua arpa. E' una salvezza, la musica. O una dannazione.
Si ritrovano per caso, in un bar milanese, entrambi amanti del jazz, Alessio e Martina, protagonisti di "Un solo paradiso" di Giorgio Fontana (Sellerio). Si scoprono. E s'innamorano. Lui rinuncia all'abitudine del "dolceamaro contentarsi", lei cerca una rivincita rispetto a una vita di fragilità e abbandoni. Ma è totale asimmetria affettiva. Destinata dunque a finire male. Martina scompare. Alessio s'abbandona a una disperazione che lo porta all'annullamento: l'ubriachezza, le periferie percorse per cercare di riempire il buco delle notti solitarie, l'ossessione d'un mondo che paradossalmente si concentra proprio su una persona che non c'è. L'assenza assoluta. Con la rinuncia perfino all'amatissima musica: nulla ha senso, se non c'è lei, per raccontarlo.
Sullo sfondo, ecco una Milano inquieta e infelice, di periferie prive di speranza, di bar densi di malumori. "Gli occhi della morte", avrebbe detto Pavese. E in quella storia d'illusione e morte, si sente forte il respiro d'una buona dimensione di letteratura.
Eccola, ancora una volta, l'illusione. Che, nelle pagine de "Il matrimonio di piacere" di Tahar Ben Jelloun (La Nave di Teseo) porta Amir, ricco mercante di Fes, in Marocco, a decidere di far diventare seconda moglie, vera, una bellissima donna di Dakar, Nabou, amante amatissima dei suoi viaggi d'affari. Ma sono orgogliosi e bianchi, i marocchini di Fes. Nera, invece, Nabou, come le schiave. E durissima e razzista, la reazione della prima moglie di Amir, dei familiari, degli altri mercanti.
Si può vivere, una grande storia d'amore, contro tutto e tutti, nella tempesta di migrazioni e mutamenti sociali? Probabilmente sì. Amir e Nabou ci provano, con impegno e profonda sincerità. Sentendosi "famiglia". Facendo dei figli.
Ma non bastano, le buone intenzioni personali. Perchè entrambi devono fare i conti con la storia e con territori travagliati da vecchi e nuovi conflitti e con le ondate migratorie che investono, nell'inquieto Marocco, anche le classi sociali e le famiglie più tradizionali. Sino alla fuga. e alla tragedia.
Jelloun è bravissimo, ancora una volta, a giocare sui tanti registri dell'animo umano. E a mettere in risalto l'altra faccia del piacere e dell'amore: l'obbligo di imparare a convivere anche con una tremenda condizione del dolore. Cui si può probabilmente sopravvivere. Mutilati.
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