Quando sei povero e la vita ti bastona il segreto sta nel fertilizzante giusto

Elisa Coloni
«Se la vita ti regala merda, tu usala come fertilizzante». Forse non finirà tra le citazioni più belle di sempre, ma di certo è una delle frasi più azzeccate del libro, che Jonathan Evison, nel suo “Il giardiniere” (Sem, pagg. 332, euro 17), fa uscire dalla bocca del protagonista, Mike Muñoz, nel momento della svolta, per suggellare il passaggio che potrebbe cambiargli la vita, e che di certo gli ha già cambiato la testa per sempre. Ed essendo lui, Mike, il giardiniere al centro del romanzo, l’espressione simbolo della trasformazione non poteva che avere a che fare con terra e concime. E non poteva che essere forte, rabbiosa, figlia di frustrazioni, marginalità e sfortuna.
La storia si svolge sulla costa nordoccidentale degli Stati Uniti, nello Stato di Washington, terra di oceano, foreste e natura prepotente, dove riecheggia un passato leggendario fatto di tende, frecce e tribù. Ma lo scenario all’interno del quale Evison ambienta le vicissitudini del protagonista, in modo ironico e fuori da qualsiasi retorica, è tutt’altro che idilliaco. È una periferia, economica, sociale, mentale. È il fallimento del sogno americano. È il conto che la globalizzazione presenta ai più deboli. È il tripudio delle differenze sociali e delle discriminazioni razziali, più che attuali in questi giorni in cui gli Usa sono scossi dalle proteste violente seguite all’uccisione di George Floyd per mano della polizia.
Mike ha 23 anni e vive in una casa-baracca a Suquamish, in una riserva indiana, dove diverse minoranze condividono un presente di emarginazione e un futuro senza speranza. Lui non è indiano, bensì cittadino americano. Ma se di cognome fai Muñoz perché sei figlio di un messicano alcolizzato che ti ha abbandonato da piccolo, se tua madre è bianca ma povera e ha al suo fianco un compagno nero, se tuo fratello ha un disturbo mentale e se la tua pelle è un po’ troppo scura, allora il passaporto statunitense non è automaticamente un lasciapassare verso una vita migliore, fatta di opportunità e successi, ma finisce che ti tocca strapparti i denti dolenti da solo con una pinza tra atroci sofferenze perché non hai un’assicurazione sanitaria e i soldi per il dentista. Il ragazzo cresce in un posto in cui i poveri restano (quasi sempre) poveri e guardano i ricchi (quasi sempre) bianchi, mentre colgono con entusiasmo le possibilità generosamente offerte da Mamma America. Mentre se sei messicano o afroamericano devi lottare per non essere considerato carne da macello a basso costo in un mercato del lavoro che ormai è solo un mercato, perché tutto si compra e si vende, anche la dignità. Mike prova tutto questo e soffre. Si sente vittima di un sistema dal quale non riesce a uscire, oppresso dalla propria marginalità, ma anche della sua stessa indolenza: aspetta qualcosa, qualcuno, che entri nella sua esistenza e gliela rivolti come un calzino, aprendogli le porte del riscatto sociale e della felicità. Ma arrivano solo bastonate: impieghi mal pagati con datori di lavoro ipocriti e razzisti, e qualche sopruso della polizia. E il nostro beniamino, cui non ci si può che affezionare quando tutto gli va storto, non lo sopporta. Non piega la testa e non tollera tutto. Si licenzia, sbotta e inveisce contro il marciume del sistema, sognando - ma senza troppe aspettative - che qualcosa a questo mondo prima o poi possa cambiare. Mike ha due unici amori: la lettura, che consuma avidamente nella biblioteca pubblica, uno dei pochi posti dove si sente a casa, e il giardinaggio, in particolare l’arte topiaria, in cui eccelle e grazie alla quale riesce a dare forma a siepi e cespugli creando meravigliose sculture. Vorrebbe vivere di questo, di piante da far fiorire e prati da curare con amore, ma non ci riesce. Il suo talento non viene capito, e lui non sa valorizzarlo: il suo essere “quasi messicano” lo rende più che altro appetibile, agli occhi dei ricchi signori di Seattle, per raccogliere le deiezioni dei cani sui loro vialetti di casa a pochi dollari.
Fino al giorno della svolta, quello in cui tutto, anche le avversità più nere possono diventare, appunto, un prezioso fertilizzante. A volte basta un incontro; uno di quelli inattesi, ma provvidenziali, che ti cambiano la testa prima ancora della vita. Perché se uno nasce povero e cresce povero, forse povero resterà, ma se in fondo al tunnel qualcosa, o qualcuno, riesce a farti vedere per la prima volta un barlume di speranza, magari anche la vita potrà avere un altro aspetto. E, soprattutto, un altro odore. —
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