Quel prete donna è una manipolatrice

MILANO. I suoi sono sempre personaggi surreali. Non alla Palahniuk, casomai c'è qualcosa di Forrest Gump, persone che, dopo una vita piuttosto ordinaria, riescono ad accedere allo straordinario. Lui è Jonas Jonasson, lo scrittore svedese che ha ottenuto grande successo con "Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve", ospite di Bookcity a Milano con l'ultimo, "L'assassino, il prete, il portiere", sempre edito da Bompiani.
Jonasson ha cambiato nazioni, mestieri, talenti. Con la narrativa ha esordito a 50 anni. I suoi protagonisti, allo stesso modo, tradiscono sempre un'enorme voglia di cambiamento: «Io più volte sono saltato dalla finestra come il mio "centenario" - dice - perché nella vita, se rimani impantanato in qualcosa che non ti dà più alcuna soddisfazione, non vai da nessuna parte. Questa mia filosofia si è certamente riflessa nei miei libri. Una differenza però è che i miei protagonisti non hanno alcun senso del dolore e del rimpianto».
Nel suo ultimo c'è un omicida, un prete, un portiere e il prete - tra l'altro donna - pare il più sveglio di tutti, più in grado di manipolare gli altri. Sembra una coincidenza. «Mi rendo conto - risponde Jonasson - che una donna-prete qui in Italia sorprende, in Svezia siamo abituati da anni a queste figure. Sul fatto che sia manipolativa non c'è alcun contro canto ambiguo, anzi, ho sempre pensato che se il mondo fosse guidato dalle donne sarebbe migliore. Le manipolazioni degli uomini portano alle guerre».
Nel libro il protagonista ottiene grande seguito sia come assassino che come santone e infine Babbo Natale. «È che la gente crede a tutto - commenta lo scrittore -, siamo dei creduloni, è facile ingannarci. Il mio pluriomicida poi, quando diviene un predicatore, non è un santone ma si sente Elvis e la stragrande maggioranza della gente è disposta a dare credito a una persona semplicemente perché è famosa. Allo stesso modo quando diventa Babbo Natale il consenso è ottenuto dal marketing. La questione è sempre come viene impacchettata la notizia, anche in un romanzo».
Come del resto avviene nella realtà aggiunge Jonasson, che cita il caso celebre di quel leone che venne ucciso da un dentista: la notizia fece il giro del mondo come se i leoni non venissero ammazzati ogni giorno. Ma in quell'occasione venivano diffuse immagini di quando il leone aveva quattro anni, nel pieno delle sue forze, incarnava proprio il re della foresta. «Ciò ha fatto una grande scalpore - prosegue - almeno fino a quando non è stato sostituito dalla foto del bambino migrante, ritrovato senza vita sulla spiaggia. Di colpo ci si è resi conto di una tragedia ben più grossa in atto. Insomma, l'impatto emotivo dipende sempre da come vengono confezionate le immagini».
E se la narrativa svedese negli ultimi anni ha goduto di grande diffusione, questo, secondo lo scrittore, lo si deve in parte a Larsson: «Ma per me ha funzionato al contrario. Per esempio quando ho lanciato il libro in Francia c'era grande attesa. Proprio perché si trattava di un autore svedese che non era incline al noir, al buio, all'omicidio. Senza Larsson probabilmente tutto questo grande interesse non ci sarebbe stato».
Il fatto che in Svezia venga elargito il Premio Nobel, il più autorevole premio letterario mondiale influenza, in qualche modo, i suoi scrittori? «Forse - risponde Jonasson - influenza di più le case editrici. Faccio un esempio. Il mio primo libro ha venduto otto milioni di copie, eppure quando lo inviai cinque case editrici su sei mi dissero di no. Perché? Potrebbe anche valere l'ipotesi che subiscano la pressione del comitato del Premio Nobel, per cui tutto ciò che non è assolutamente intellettuale viene rifiutato. E anche il dolore, che è un leitmotv dei miei romanzi, se pur con stile ironico, viene colto molto di più all'estero».
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