Raina Kabaivanska: «A Trieste temevo di perdere la voce»

di Patrizia Ferialdi
Per cinquant'anni ha dominato la scena sui palcoscenici di mezzo mondo grazie ai suoi potenti mezzi vocali, supportati da un bagaglio tecnico di prim'ordine e da un temperamento musicale modellato da rigorosi studi pianistici; ma ha saputo anche ammaliare la platea in virtù di un innato carisma che vive e palpita attraverso la fisicità di un portamento regale e attraverso i gesti di un talento attoriale non comune. Ieri grande cantante, oggi straordinaria insegnante, fascinosa signora piena di verve e sense of humour, Raina Kabaivanska ritorna a Trieste per la presentazione della prima monografia a lei dedicata, dal titolo "Vissi d'Arte. La grande opera di Raina Kabaivanska" curata da Elena Bianchini Braglia e pubblicata dall'Associazione Culturale "Terra e Identità" di Modena, che ripercorre la vita e la carriera della grande diva. L'incontro, organizzato in collaborazione tra l'Associazione triestina Amici della Lirica “G.Viozzi”, la Fondazione Teatro Lirico Verdi di Trieste e il Civico Museo Teatrale Carlo Schmidl con il patrocinio del Comune di Trieste, si tiene oggi alle 17.30 al Ridotto del Verdi ed è a ingresso libero.
Signora Kabaivanska, cosa prova nel ritornare a Trieste?
«Una pioggia di ricordi e tutti bellissimi. Io ormai ottantenne non ho buona memoria ma non è solo l'età, non sono una cantante maniacale con il culto di se stessa, io ho solamente dei flash sul mio passato, non ho un archivio, non ho le fotografie, sono sempre in imbarazzo quando mi chiedono "ma che anno era questo che anno era quell'altro" e questa regola vale anche per Trieste. Ma adesso che lei mi pone questa domanda in effetti mi vengono in mente ricordi stupendi, fondamentalmente legati all'epoca De Banfield. Raffaello era davvero un grande personaggio che ha reso importante il Teatro Verdi. Lui ha avuto subito la massima fiducia in me, scritturandomi per la Wally diretta dal maestro Gavazzeni in apertura di stagione. Ma io lo chiamai tre mesi prima e gli dissi che "no, quest'opera io non la faccio, l'ho fatta molti anni fa, è troppo difficile e mi scassa la voce”. Ma Raffaello fu irremovibile e mi disse “no cara, lei ha un contratto e lei viene a eseguire quello che c'è nel contratto!!”. Per fortuna l'ho fatto ed è stata veramente una bellissima esecuzione, grazie anche al maestro Gavazzeni, che era un cultore di questo genere e un amante in particolar modo della musica di Catalani. E poi mi ricordi lei qualche altra esecuzione…».
Nella memoria dei melomani triestini l'Otello-cult del novembre 1975.
«È vero, avevo partorito a gennaio, la mia bimba non aveva ancora un anno ed era con la baby sitter ai Duchi… Ma che cosa favolosa mi ha ricordato! Fu un'edizione davvero memorabile, c'era il meraviglioso Carlo Cossutta, c'era Cappuccilli, il bravissimo maestro Nino Sanzogno e le bellissime scene di Pierluigi Pizzi».
Ma lei qui è stata anche "Tosca divina", regale Adriana e appassionata Francesca: quale, tra questi ruoli, le è rimasto più nel cuore ?
«Per ragioni sentimen. tali direi che prediligo Francesca da Rimini. Francesca è mia figlia e con la mia prima Francesca, fatta nei teatri emiliani, ho conosciuto mio marito. Poi però devo dire che gli altri ruoli sono veramente fatti tutti con passione. Del resto, io facevo le opere prima scegliendo il personaggio e, se questo mi piaceva, allora leggevo la musica. Questi sono tutti personaggi che cavalcano la tigre, prima di tutto sono nel titolo e poi sono famosissime primedonne».
A proposito di primedonne, come ha affinato il suo carisma attoriale?
«Direi che questa è una qualità innata che si potrebbe leggermente migliorare però avere questa gioia, questa libertà che io ho avuto per 55 anni sul palcoscenico è una caratteristica insita nella mia personalità. Io ho sempre detto che mi sono sentita molto più comoda su un palcoscenico che nella vita… qui bisognerebbe forse scomodare Freud ma è molto più comodo vivere nella pelle di un personaggio che vivere nella propria, perché in un'altra pelle ci si sente molto più liberi e si può esprimere anche quello che uno ha paura o anche vergogna di esprimere… e allora per me il palcoscenico era una liberazione totale… Avrò cantato bene, avrò cantato male io non lo so, ma l'ho fatto con la massima gioia e la massima passione».
C'è qualche ruolo che è rimasto nel cassetto?
«Lady Macbeth… A leggerlo, il personaggio era proprio di quelli che ho sempre sognato di fare però qui si è ribellata la musicista, che è l'altro mio cotè, perché io vengo dal pianoforte, vengo dalla precisione musicale al punto da diventare perfino ossessionata e noiosa. Avevo registrato le due arie, che mi venivano davvero bene mentre non mi venivano proprio le battute del brindisi, questa coloratura maledetta non mi veniva bene e io ho rinunciato al ruolo, ed è l'unico rimpianto che ho».
Dalle scene alla didattica, come descriverebbe il suo metodo d'insegnamento?
«È un metodo che ho raccolto personalmente. Quando sono arrivata in Italia - nel 1958 - c'erano ancora i vecchi maestri: io ho studiato con Zita Fumagalli che era nata nel 1893 e che veramente trasmetteva l'antica autentica scuola all'italiana del canto. Poi ebbi una fortuna sfacciata: nel 1961 debutto al Metropolitan di New York e due mie ammiratrici inglesi mi portano subito dalla Rosa Ponselle, figura mitica che chiamavano Caruso in gonnella, che mi dice “rimani a studiare con me che sarai l'unica Norma l'unica Traviata”. E io a dirle “ma signora io ho già i contratti firmati e poi ho un fidanzato in Italia”! Così, per tutto il tempo che rimasi a New York ogni domenica andavo in treno a Baltimora dalla Rosa, prendendo a piene mani tutti i suoi insegnamenti. Dopo forse una trentina d'anni di carriera, quando le Tosche e le Butterfly cominciavano a starmi strette, perché ne ho fatte 400 e sono una montagna, ho cominciato a sognare cose diverse».
E dunque?
«Per mia fortuna due grandi uomini di teatro come Carlo Fontana e Carlo Maier mi hanno offerto la possibilità di debuttare in Donizetti, per cui ho fatto "Roberto Devereux" e "Fausta" a Roma, dove c'era il vecchio maestro Vlad. Poi con Fontana a Bologna ho fatto il "Capriccio" di Strauss e siccome io non parlo il tedesco e non sono capace di cantare come un pappagallo me l'hanno tradotto in italiano… Pensi che tempi erano! Per farmi felice Lele D'Amico, che non era una persona per caso, ha fatto la traduzione del "Capriccio". Un regalo meraviglioso, ero molto fortunata e quella era un'epoca stupenda. E non parliamo poi della mia collaborazione con Luca Ronconi, col quale ho fatto, oltre al Capriccio, anche "Il giro di vite" di Britten e "Il caso Makropulos" di Janacek».
Torniamo agli allievi...
«Punto prima di tutto sulla tecnica, perché oggigiorno i giovani ne sono molto carenti. Non commentiamo per quale motivo, ma lo sono e io, come una pazza, sono forse l'unica che si occupa di tecnica, proprio ricordando tutte queste scuole che sono stata fortunata ad assorbire. E allora prima di tutto respirazione, poi fedeltà alla musica e poi i nostri trucchi tecnici cioè postura, gola aperta e risonanza. Io lavoro come in una vecchia bottega di una volta e i risultati, lo dico francamente, si vedono dopo anni. Per esempio, ho avuto Maria Agresta che adesso è il numero 1 dei soprani, per tre quattro anni, così come il mezzosoprano Veronica Simeoni e il soprano Virginia Tola. La tecnica non è una cosa che si impara subito, per andare avanti ci vogliono anni di studi».
Parliamo ora di Raina Kabaivanska e Roberto Capucci ovvero un rapporto glamour nel mondo della moda.
«Ho passato 50 anni con Capucci, lui mi ha sempre vestita e devo dire che questa sorta di nostro matrimonio mi ha aiutato moltissimo perché i vestiti di Capucci sono unici, sono bellissimi, sono delle statue, però sono altrettanto pericolosi, ti possono divorare e tu devi essere più forte dell'abito più forte della struttura, più forte di queste decine di metri di stoffa che lui ti carica addosso. Però mi ha aiutato perché io mi sono sentita bella, e per un'artista è molto. E allora, parallelamente alle tante opere che facevo in teatro, facevo anche tantissimi concerti e in tali occasioni indossavo questi suoi abiti unici creati apposta per me, una soddisfazione immensa. Adesso, per esempio, hanno fatto una mostra intitolata "Il teatro e la moda", ospitata a Roma, Torino, San Pietroburgo e Los Angeles, nella quale io avevo tre sale strepitose. Anche questa un'altra immensa soddisfazione».
Cosa auspica per il futuro delle giovani leve?
«Ai miei ragazzi dico: prendete questo mondo nelle vostre mani, abbiate coraggio, prendetelo e cambiatelo».
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