Il rapper Luchè a Monfalcone mette in mostra il suo “lato peggiore”

Domenica il concerto in piazza Repubblica nell’ambito di Generation Young Festival. «Se sono come sono è merito di Napoli»

Elisa Russo
Luchè, il rapper napoletano sarà la star del Generation Young Festival
Luchè, il rapper napoletano sarà la star del Generation Young Festival

Considerato uno dei nomi di punta dell’hip hop italiano, sin dagli esordi nel 1997 con i Co’Sang, e poi da solista, il rapper napoletano Luchè è il protagonista del Generation Young Festival, domenica 24 agosto, alle 21.30 in Piazza della Repubblica a Monfalcone. Alla terza edizione del festival organizzato da Innovation Young e Zenit, in collaborazione con il Comune di Monfalcone, Luchè presenta il sesto album “Il mio lato peggiore” uscito in maggio, a cui ha fatto seguito un memorabile live allo Stadio Diego Maradona di Napoli davanti a 40 mila persone.

«Il concerto al Maradona - commenta - più che una ciliegina sulla torta, per me ha rappresentato l’inizio di qualcosa di nuovo. È stato sicuramente una celebrazione di tanti anni di musica, ma spero che possa aver aperto la strada a tutto ciò che verrà».

Com’è nato “Il mio lato peggiore”?

«Qualche idea e qualche beat li avevo già, ma di fatto è cominciato a luglio 2024. Una volta chiuso il disco dei Co’Sang, sono partito per l’America per un paio di settimane e abbiamo buttato giù i primi quattro brani, tra cui “Miami Vice” e “Punto G”».

I singoli hanno riscosso subito successo?

«Dopo l’uscita de “Il mio lato peggiore”, l’accoglienza è stata una sorpresa bellissima: “Nessuna” e “Ginevra” con Geolier sono andati fortissimo, mi sono ritrovato da solo al primo posto e per alcuni giorni sono stati entrambi in vetta. Con Geolier è stato unire due mondi, due pubblici, ma non ho nemmeno avuto il tempo di realizzare: il disco è uscito e sono partite subito le prove del tour».

Il mercato della musica sembra ossessionato dai numeri. Come la vive?

«Cerco di non farmi influenzare troppo dai numeri. Capita a tutti, anche a chi è in alto, di sentire la competizione. Ma bisogna mettere tutto in prospettiva: a volte vediamo la realtà in modo distorto. La verità è che ognuno ha la sua vittoria, personale, soggettiva, e non deve per forza coincidere con dischi di platino o classifiche. Per me è importante che il disco sia arrivato davvero a chi doveva arrivare».

Parla spesso di autenticità: cos’è per lei?

«Io credo sia qualcosa che si ha dentro, a prescindere. Può anche essere una scelta, certo, ma secondo me è prima di tutto una necessità con cui si nasce. La musica mi ha dato la possibilità di mostrare agli altri cosa significa essere autentici, con tutti i pro e i contro che questo comporta. Credo che, se oggi fossimo tutti un po’ più autentici, vivremmo in una società molto diversa».

Il suo rapporto con la città natale?

«Se sono come sono è anche, e soprattutto, grazie a Napoli. Crescere in certe zone della città, nel periodo storico in cui sono cresciuto io, ti segna profondamente e ti forma gran parte del carattere e della mentalità. Poi, certo, sta a te diventare la persona che vuoi essere, ma Napoli mi ha dato quell’imprinting che mi è servito tantissimo, anche nell’affrontare la carriera e tutto il resto. Continua ad avere un ruolo davvero importante».

Ad autunno il tour continua?

«Nei palazzetti. Ho un obiettivo che mi tiene vivo, ed è qualcosa che per me ha un’importanza enorme. Il live ti permette di completare davvero, a 360 gradi, la visione che avevi del disco: non solo lo fai ascoltare, ma lo fai anche “vedere”. Senti l’energia del pubblico, condividi la tua musica in modo più diretto e con una forza diversa. Per me è fondamentale». 

Riproduzione riservata © Il Piccolo