Renato Casaro, ultimo cartellonista d’autore disegnò mille film da Cinecittà a Hollywood

il personaggio
«Grazie per la tua arte che dà grazia al mio film. Sei sempre stato il mio favorito! Love». È con sincera ammirazione per il lavoro di un artista che ha sempre amato profondamente il cinema, che il regista Quentin Tarantino rende omaggio in una dedica a Renato Casaro, uno dei padri fondatori del manifesto cinematografico d’autore. E proprio per raccontare la vita e i successi internazionali di un artista che con i suoi disegni ha fatto la storia del cinema, Treviso ha voluto realizzare la mostra “Renato Casaro. L’ultimo cartellonista del Cinema. Treviso, Roma, Hollywood”, che dal 5 dicembre sino al 30 settembre 2021 è stata annunciata in apertura nelle tre sedi del nuovo Museo Nazionale Collezione Salce. A curare esposizione e catalogo tre specialisti del settore: Roberto Festi, Eugenio Manzato e Maurizio Baroni, che hanno analizzato più di mille tra manifesti e locandine dell’archivio Casaro, ricostruendo, dal bozzetto al disegno fino alla stampa, la genesi di opere entrate nell’immaginario iconografico collettivo.
Un percorso artistico, quello di Renato Casaro, che dura da più di 50 anni. Oggi 85enne, ritornato a Treviso, sua città natale, l’artista svela i suoi esordi: «Ho sempre amato il cinema, – ricorda - fin da bambino stavo pomeriggi interi nelle sale della mia città a guardare i film di Tarzan e di cowboy. Avendo una certa abilità nel disegno, da ragazzo ho iniziato a collaborare con alcuni cinematografi di Treviso in cambio dei biglietti per entrare alle proiezioni. All’epoca si usava annunciare i film con locandine che immortalavano gli attori. Allora per attirare più spettatori ho realizzato per alcune sale delle grandi sagome dipinte degli attori. È stato un successo. I proprietari dei cinema hanno mandato le foto dei miei allestimenti ai grandi distributori: da lì è cominciata la mia grande avventura. Ricordo ancora quando mi hanno chiamato a Roma per conoscermi: mi sembrava un sogno che si realizzava. Ho viaggiato in terza classe, eppure mi pareva di aver vinto un biglietto per andare sulla luna!».
A ricordare la genesi da autodidatta di Renato Casaro, vero enfant prodige, è l’architetto Roberto Festi, che sottolinea come questo artista trevigiano sin dagli esordi avesse sviluppato una dote innata per la sintesi e una capacità straordinaria di cogliere con pochi indizi il cuore di una pellicola. «La scuola italiana di cartellonistica di cinema – spiega - è una delle migliori al mondo. Renato Casaro, a differenza di molti suoi colleghi che escono dall’Accademia, si fa da sé, è un talento puro che si affina grazie alla passione e alle sue grandi capacità di rubare con gli occhi e di innovare quanto rapidamente impara». A neanche 19 anni, nel ‘54, parte per Roma e trova subito lavoro nello studio Favalli, all’epoca uno dei più quotati nel settore. Ci starà un anno e mezzo e poi spiccherà il volo: negli anni ’60 ha già uno studio tutto suo.
«All’inizio – racconta Casaro – non era facile, specie lavorando per piccole produzioni, che erano sempre in ritardo con i tempi e ti facevano sospirare le foto dei set. In questo mestiere non si può improvvisare, bisogna conoscere bene una pellicola per coglierne l’essenza. Poi, quando ho iniziato a lavorare per grandi film, è stato tutto molto più semplice: ho potuto, frequentando i set, parlare con i registi, entrare in sintonia con le loro opere e realizzare ottimi lavori».
Casaro diventa così in poco tempo il principale interprete delle produzioni di Cinecittà. Non a caso sarà il promotore iconografico di nuovi generi in ascesa, come il western all’italiana, che vedrà protagonisti Giuliano Gemma, Franco Nero, lo zaratino Gianni Garko (il mitico “Sartana”) e poi gli inossidabili Bud Spencer e Terence Hill. «Mi piaceva molto ritrarre Garko, – racconta Casaro – in generale i ritratti sono sempre stati la mia passione. Clint Eastwood ne ha voluto uno per la sua collezione privata».
«Casaro – spiega Festi – ha saputo negli anni della maturità potenziare le sue doti di disegnatore con l’inserimento di tecniche innovative che lo porteranno ad un realismo raffinato e potente: a metà degli anni ’80 capisce che la fotografia sta soppiantando il disegno e allora inizia a usare l'aerografo realizzando manifesti dipinti che sembrano foto, in cui brillano perfino le gocce di sudore sulla fronte degli attori».
La mostra trevigiana documenterà 170 film degli oltre mille a cui Casaro ha lavorato collaborando con i più grandi registi di Hollywood e realizzando immagini uniche per saghe di successo come 007 o Rambo e per capolavori come “C’era una volta in America”, “L’ultimo imperatore”, “Nikita”, “Il tè nel deserto”. «Quando si crea un manifesto – spiega Casaro – ci sono grossi problemi contrattuali legati alle proporzioni che l’immagine di un attore protagonista deve avere rispetto agli altri. Per l’antesignano di tutti i cine-panettoni, “Vacanze di Natale”, che aveva tantissimi attori, ho risolto realizzando una grande palla di neve da cui spuntavano teste e piedi dei protagonisti. L’idea ha avuto grande successo e ha fatto scuola nel genere». Tra gli ultimi lavori un omaggio spontaneo a una pellicola di un regista esordiente su cui Casaro mantiene la riservatezza: «Quando l’ho vista durante il Festival del Cinema di Trieste mi ha colpito molto, così ho detto al regista: ‘Su questo film voglio farci un manifesto!’». —
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