Roberto Finzi: «A Trieste si può fare ancora molto contro l’antisemitismo»

l’intervista
Ma che cosa hanno fatto gli ebrei? Perché questo accanimento contro di loro nel corso della Storia? Per rispondere a queste domande della nipote tredicenne, l’accademico Roberto Finzi cede il passo al suo ruolo di nonno: il risultato è un libro di strettissima attualità. “Cosa hanno mai fatto gli ebrei? Dialogo tra nonno e nipote sull’anitsemitismo” (Einaudi Ragazzi, pagg. 160, euro 10) viene presentato giovedì, alle 18, alla libreria Minerva da Mauro Tabor, assessore alla cultura della Comunità ebraica di Trieste, e dalle insegnanti Dora Fiandra e Francesca Masini. Il volume scritto da Finzi, che ha insegnato per undici anni all’Università di Trieste e che si occupa di divulgazione ed è autore di testi tradotti in molti Paesi, cerca di chiarire alcuni punti sull’antisemitismo in un momento in cui, solo in Italia, alla senatrice Liliana Segre viene assegnata una scorta per tutelarne l’incolumità e a Roma la libreria La Pecora elettrica, apertamente antifascista, viene incendiata.
«È un libro - racconta Roberto Finzi - nato per la scelta, coraggiosa e tutt’altro che scontata, dell’editore di scommettere su una collana di saggistica per ragazzi il cui titolo dice tutto: “Presenti Passati”. La proposta era per me una sfida: altro è divulgare per un pubblico adulto o scrivere manuali, altro è incuriosire i giovani su un tema duro e complicato. Ho accettato. Le sfide mi piacciono».
Che approccio ha scelto?
«Il punto più difficile - risponde Finzi - è stato il registro linguistico. Quanto a quello contenutistico avevo in mente di dare il senso del tempo lungo dell’avversione verso gli ebrei facendone intendere le diverse radici. Forse non avrei saputo risolvere questi nodi se non avessi avuto una nipote tredicenne, Sofia, che alla mia proposta non si è tirata indietro, anzi. Il titolo del libro è suo. Le ho detto cosa mi era stato proposto e se mi aiutava con delle domande. Da quella del titolo ho maturato l’idea che il libro doveva essere frutto di una nostra collaborazione, di un dialogo. E così è stato, anche nella scrittura. Parlavamo, buttavo giù una bozza, lei, paziente, leggeva e mi segnalava i punti in cui la scrittura non era chiara. Dalla conversazione e dalla lettura scaturivano in lei altre domande e così siamo arrivati alla fine».
In tutta Europa sembra sorgere di nuovo una tendenza antisemita. Come se lo spiega?
«A dire il vero c’è da chiedersi se tale sentimento si sia mai spento. Come mai nel 2000 il parlamento italiano sente il bisogno di votare la legge che istituisce il Giorno della memoria e che cinque anni dopo l’Onu fissi sempre per il 27 gennaio l’International Holocaust Remembrance Day? Di certo però oggi, in seguito anche all’anonimato garantito dalle nuove tecnologie digitali, è diventato meno indecente dirsi antisemiti o fare gesti antisemiti. Basta vedere le statistiche. Ci sono grandi problemi epocali: una crisi economica prolungata e che non cede, flussi migratori destinati a non finire e via elencando. Sull’altro da sé si riversano le frustrazioni e le paure. Senza comprendere che proprio quell’altro da sé è vittima degli stessi tsunami che ti travolgono. Dunque ci si consola trovando capri espiatori. E l’ebreo è il capro espiatorio per eccellenza».
La vicenda di Liliana Segre e quella della libreria La pecora elettrica diventano emblematiche: cosa sta succedendo in Italia?
«Purtroppo non sono vicende isolate. Basta chiedersi come mai quando si parla di “succhiatori di sangue” del popolo si parla sempre di Soros. Non sarà perché è ebreo e richiama implicitamente l’immaginario grande complotto ebraico per il dominio del mondo? Poi c’è da ricordare che episodi del genere possono esistere perché c’è un humus antiebraico diffuso. Nel libro ci sono molti esempi di come antisemitismo, razzismo, intolleranza siano un fiume carsico che percorre la storia non solo italiana. Ne vorrei ricordare uno minore ma molto significativo. In vista del Natale dello scorso anno a Napoli tra le statuine per il presepe spiccava un Adolf Hitler con tanto si svastica e braccio alzato nel saluto nazista. Chi l’ha fatta pensava di venderla non rendendosi conto che così sfigurava il presepe. Se in un presepe si mette Hitler bisogna togliere il bambino. Cristo, infatti, viene a portare il messaggio che ognuno deve amare il suo prossimo come se stesso, mentre Hitler è il simbolo del contrario assoluto di questo comandamento. Anche l’antifascismo, con tutte le sue contraddizioni, aveva e ha in sé un insegnamento di unità tra i diversi».
A Trieste, città in cui Mussolini annunciò le leggi razziali, è approdata in consiglio comunale l’assegnazione a Liliana Segre della cittadinanza onoraria dopo giorni di polemiche.
«Un segno comunque importante: la frontiera orientale italiana è stata uno dei luoghi di maggiori tragedie del nostro paese dal primo conflitto mondiale in avanti. È un lutto che il Paese nel suo complesso non ha ancora elaborato. Anche se proprio da Trieste vengono studi, penso da ultimi a quelli di Raoul Pupo, che possono aiutare a elaborarlo per davvero. Liliana Segre, con la sua azione e le sue proposte, a mio avviso, ha in testa proprio questo: non serve, per capire e vaccinarsi dal passato che non passa, la continua riproposizione delle ferite, anche terribili, ricevute. Quando dice che lei non odia nessuno afferma la necessità di un’analisi complessa, e dolorosa, del passato per un presente migliore». —
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