Ruskin, l’arte scritta sulle pietre

A Palazzo Ducale di Venezia l’omaggio al più grande acquerellista vittoriano

«Un fantasma sulle sabbie del mare, così debole, così silenziosa, così spoglia di tutto all’infuori della sua bellezza, che qualche volta quando ammiriamo il languido riflesso nella laguna, ci chiediamo quasi fosse un miraggio quale sia la città, quale l’ombra». Così, poeticamente preso dalla sua bellezza eterna e al contempo evanescente, il celebre scrittore, critico d’arte e pittore inglese John Ruskin descriveva alla metà dell’800 Venezia e il suo fascino decadente nel celebre saggio “Le pietre di Venezia” (The Stones of Venice). Alla passione, all’amore di Ruskin per una Venezia medievale, anticlassica, letta nelle pietre, nelle architetture, nei capitelli, nei monumenti piccoli e grandi, è dedicata l’interessante mostra realizzata dalla Fondazione Musei Civici di Venezia a Palazzo Ducale, che resterà aperta fino al 10 giugno.

Ammirato da Tolstoj e da Proust, capace di influenzare fortemente l’estetica del tempo con la sua interpretazione dell’arte e dell’architettura, Ruskin contribuì a salvare la Venezia gotica, all’epoca quasi cancellata dal sovrastante prevalere di una cultura rinascimentale.

«Ho voluto fortemente questa mostra – spiega la direttrice del Muve, Gabriella Belli - per raccontare l’intenso rapporto d’amore tra uno studioso appassionato e una città fragile ed eterna come Venezia, ma soprattutto per ricordare la grande e meritoria opera di riscoperta e valorizzazione della città bizantina che Ruskin attuò negli anni dei suoi undici viaggi a Venezia tra il 1835 e il 1888».

Pervaso da spirito religioso maturato nell’Inghilterra vittoriana, animato da una visione etica, che lo spinse ad agire sul piano sociale e politico con l’obiettivo utopico di una società organica e felice per tutti, strenuo oppositore del meccanicismo e del materialismo che vedeva diffondersi, Ruskin nel corso della sua vita s’interrogò sulle questioni sociali, sull’arte, sul paesaggio e sulla Natura. Non a caso scrisse di mineralogia e di botanica così come di economia, architettura e restauro.

Una personalità sicuramente complessa quanto moderna, capace di accompagnare l’ascesa dei preraffaelliti e al contempo di cogliere lo spirito rivoluzionario del più antiaccademico e trasgressivo degli artisti, William Turner, ma anche di catturare la modernità del segno e del colore di un pittore cinquecentesco come Tintoretto.

«La rassegna – spiega la curatrice Anna Ottani Cavina - si articola attorno a cento opere che documentano il genio versatile di Ruskin e la sua vocazione a tradurre in immagini la realtà, fissandola su migliaia di fogli, a penna e acquerello». Ecco così la serie degli schizzi e dei dipinti dedicati alle montagne italiane e poi quelli che ritraggono la bellezza della natura colta nelle piccole cose: le conchiglie, le foglie, le alghe, le nuvole e i cieli. Ecco poi ancora tra le fitte annotazioni dei suoi taccuini la serie quasi infinita degli acquarelli dedicati a ogni singola pietra, palazzo, capitello veneziano o ancora gli studi attenti e appassionati di ogni frammento di Palazzo Ducale.

Sicuramente Ruskin, come scriveva Kenneth Clark, si può definire il più grande acquerellista dell’età vittoriana. «Disegna e dipinge – sottolinea la curatrice - con una libertà non accademica che gli permette di far passare attraverso un aspetto naif o “da dilettante” uno sguardo più nuovo, capace a volte di una visionarietà analitica preraffaellita, a volte di una visione dissolvente simile a quella dei grandi romantici».

Grandissimo studioso, scrittore impareggiabile, Ruskin non è certo un pittore professionista, ma usa la pittura come strumento per leggere il mondo e documentarlo.

«C’è in lui una versatilità polifonica propria di pochissimi artisti», spiega Anna Ottani Cavina: «Sa cogliere il frammento per spiegare l’intero. È un artista che molto ha contato per aver spalancato gli orizzonti del gusto e aver creato una schiera di accoliti di quella “religione della bellezza” che la scrittura intendeva eternare, da Oscar Wilde a Walter Pater, da Henry James a Virginia Woolf, a Marcel Proust, a Gabriele d’Annunzio. Un artista che ha conosciuto il declino, quasi l’oblio, nel naufragio dell’età vittoriana, ma che tanto ha contribuito alla presa di coscienza di Venezia, per la cui difesa si è battuto cogliendone l’unicità e la bellezza, ma soprattutto sostenendo che ogni sua pietra può sopravvivere soltanto quando intorno vi è una comunità e un mondo che ancora vi abita. Monito e lezione straordinariamente attuali ancora oggi».

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