Se la Banca europea desse soldi ai cittadini per uscire dalla crisi

Da una boutade di Ben Bernanke della Fed si accende il dibattito in Francia, e non solo
Di Francesco Magris
Money on the Mind --- Image by © Sven Hagolani/Corbis
Money on the Mind --- Image by © Sven Hagolani/Corbis

di FRANCESCO MAGRIS

In un stimolante articolo apparso sul quotidiano francese "Le Figaro" il martedi 24 febbraio, il giornalista Jean-Pierre Robin, prendendo spunto da una boutade - peraltro non così assurda come potrebbe apparire a prima vista - di Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve (Fed) dal 2006 al 2014, lancia una provocazione. Robin si chiede perché non si assegni del denaro nuovo di zecca direttamente ai cittadini, in alternativa al "quantitative easing" (o "alleggerimento quantitativo") lanciato dalla Bce a partire dal 1 marzo 2015 con l'esplicito obiettivo di iniettare della liquidità in un'economia, come quella europea, che stenta a riprendere il cammino della crescita e sulla quale incombe da tempo la minaccia deflazionista. In questo modo, i cittadini, in seguito all'incremento delle scorte monetarie in loro possesso, aumenterebbero gli acquisti di beni e servizi e ciò si tradurrebbe in parte in una maggiore produzione (e in una riduzione quindi del tasso di disoccupazione) e in parte in un aumento del livello dei prezzi. Insomma, due piccioni con una fava: ripresa economica e contestuale allontanamento dello spettro deflazionista (ricordiamo che la Bce persegue un obiettivo inflazionista del 2 per cento).

Tecnicamente la cosa è fattibile, in quanto la Bce (com'è il caso per ogni Banca Centrale) possiede il monopolio della creazione monetaria, ossia della possibilità di stampare ed emettere banconote vergini sul mercato in quantità illimitata, senza vincoli di natura legale o politica, con il solo obbligo di perseguire quegli obiettivi che i suoi azionisti - ossia i singoli Stati aderenti alla zona euro - le hanno conferito al momento della sua creazione.

Il "quantitative easing" consiste nell'acquisto da parte della Banca Centrale di attività finanziarie - come obbligazioni o titoli di Stato - da privati o dalle banche, con denaro appositamente creato, allo scopo di migliorare la struttura di bilancio di queste ultime e di conferire loro la liquidità sufficiente per finanziare l'economia reale e allentare dunque eventuali strette creditizie in corso. Inoltre, l'acquisto di titoli di Stato ne aumenta il prezzo di mercato (questo è l'effetto di una loro maggiore domanda) e ne riduce quindi il rendimento (il quale è inversamente correlato al loro prezzo in quanto l'incidenza del rimborso dovuto diminuisce), con il risultato di ridurre i costi di indebitamento dei paesi coinvolti con gli indotti effetti benefici sulla dimensione dei rispettivi debiti pubblici (pensiamo al caso della Grecia).

Ma gli Stati non sono gli unici beneficiari del "quantitative easing". Coloro che hanno ceduto i titoli di Stato alla Bce, spesso si affrettano ad acquistare attività finanziarie alternative, in particolare quelle quotate in Borsa, i cui principali indici subiscono un'impennata, provocando un'euforia generale nell'ambito della quale i prezzi degli asset finanziari e degli immobili lievitano, arricchendo i rispettivi possessori. Inoltre, il ribasso indotto sulla struttura dei tassi di interesse incentiva l'investimento produttivo da par. te delle imprese (l'interesse ne rappresenta infatti il costo) e agisce quale stimolo per le famiglie ad accettare un'esposizione creditizia per finanziare gli acquisti immobiliari (contribuendo alla crescita del loro valore) e pure il consumo al dettaglio, con le ricadute positive sulla domanda effettiva e dunque sull'occupazione. Infine, l'incremento del circolante - provocando, come abbiamo visto, una riduzione dei tassi di interesse - rende maggiormente attrattivi i titoli denominati in valuta straniera, la cui domanda da parte degli europei subisce un rialzo, con il risultato di esercitare delle pressioni al ribasso sul tasso di cambio, ossia un deprezzamento dell'euro, fenomeno che stimola a sua volta le esportazioni e consolida ulteriormente la domanda di beni europei.

Se molti soggetti conseguono dei vantaggi dal "quantitative easing", non mancano coloro che invece subiscono delle perdite considerevoli. Fra questi vi sono ovviamente quelle imprese e famiglie abituate a importare beni da Paesi extra-europei, e che, in seguito al deprezzamento dell'euro, si trovano di fronte a dei rincari non trascurabili. Ma il ribasso dei tassi di interesse danneggia, oltre ai tradizionali intermediari finanziari, pure le famiglie a reddito medio e medio-basso, raramente possessori di patrimoni finanziari o immobilari, e le cui esigenze di una remunerazione adeguata di oculati risparmi sono drasticamente disattese. Il "quantitative easing" acuìsce quindi il gap tra ricchi (i detentori di patrimoni) e poveri (i piccoli risparmiatori), un gap che può essere accorciato solo da una politica fiscale finalizzata ad un'equa redistribuzione della ricchezza. Il quadro qui tratteggiato è stato confermato dall'esperienza americana dove, nel 2010, è stato lanciato un "quantitative easing" superiore ai 2mila miliardi di dollari e la cui fine è stata decretata solo nel 2014 da Janet Yellen, la presidente della Fed succeduta a Bernanke (non a caso, il dollaro si è di recente rivalutato).

L'alternativa, evocata da Jean-Pierre Robin, di iniettare contante direttamente nelle tasche dei cittadini, è frutto - come ricorda lo stesso giornalista francese - di John Muellbauer, docente a Oxford, il quale ha simulato gli effetti di una distribuzione di 500 euro per adulto europeo che, secondo i suoi calcoli, dovrebbe tradursi in un tasso di crescita del Pil del 1.4 per cento. L'ipotesi di base è che i beneficiari del transfert monetario devolvano il 25 per cento della massa monetaria addizionale loro versata al consumo, ma tale ipotesi non regge al confronto con l'opinione condivisa da molti economisti, secondo la quale la quota delle scorte monetarie destinata al consumo non è costante, ma varia in funzione della quantità della stessa moneta posseduta: la propensione al consumo non è identica per chi possiede mille euro e per chi dispone invece di un milione di euro. Ne segue che per allineare su una base proporzionale predefinita l'incremento della spesa, sarebbe opportuno che i transfert monetari non fossero, come suggerisce Muellbauer, forfettari e uguali per tutti i cittadini, ma piuttosto proporzionali alle scorte monetarie detenute da ciascuno, ad esempio il 20 per cento o il 30.

Questa ipotesi appare frequentemente nella modellizzazione teorica più recente (come, ad esempio, quella di Robert Lucas, Costas Azariadis e Jean-Michel Grandmont, in cui la moneta, si dice, viene "elicotterata" sui cittadini) anche se rischia di vanificarsi in quanto, non di rado, si ricorre all'artificio metodologico di supporre una moltitudine di agenti tutti identici fra loro. La parte del contante non utilizzata per finanziare il consumo, in questo scenario, verrebbe a sua volta convertita in titoli, provocando un ribasso dei tassi di interesse e il deprezzamento del tasso di cambio, col risultato di incrementare la domanda interna e quindi l'occupazione.

Aldilà dell'opportunità o meno di implementare questo cosiddetto "quantitative easing for the people", rimangono delle grosse difficoltà di ordine giuridico. Infatti, se da un lato la Bce può concedere crediti alle banche a tassi pure prossimi a zero, dall'altro non possiede la facoltà di effettuare veri e propri doni. Inoltre, come la storia insegna, la moneta cartacea (e quindi fiduciaria), certo rappresenta un formidabile meccanismo circolatorio di ricchezza e pure un efficace strumento anticongiuturale, però una sua gestione non convenzionale può provocare crisi economiche violente e durature, come testimonia la storia di John Law che, verso la fine del '600, ha promosso l'introduzione della moneta cartacea priva di un'opportuna copertura aurea, in aperta polemica "anti-metallista", provocando una concatenazione di fallimenti bancari.

Forse aveva ragione Ferdinando Galiani il quale, già nel '700, rivendicava la necessità di una moneta dotata di un suo valore intrinseco (ossia di un valore indipendente dal ruolo circolatorio da essa rivestito), come nel caso dell'oro e dell'argento, a tutela della sua stabilità. Prescrizione del resto condivisa da molti altri e recepita dal sistema monetario internazionale fino al 1971, anno in cui Nixon decretò la fine del "Gold Exchange Standard", sospendendo la convertibilità del dollaro in oro e privando in tal modo le valute di un ancoraggio concreto del loro valore, valute divenute in seguito a quell'evento puramente fiduciarie. Il "quantitative easing" ci propone dunque delle questioni complesse per rispondere alle quali non si può evitare di interrogare la Storia.

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